Stéphane Braunschweig
Rigoletto o la maledizione

"Un infelice padre che piange l'onore tolto alla sua figlia, deriso da un buffone di corte che il padre maledice, e questa maledizione coglie in una maniera spaventosa il buffone, mi sembra morale e grande al sommo grande. [...] Ti ripeto che tutto il sogetto sta in quella maledizione."
(Verdi a Piave, da Cremona, 3 giugno 1850)

La lettura di queste poche righe permette bene di capire perché Verdi intendesse chiamare questo suo dramma lirico La Maledizione. Il titolo definitivo però mi pare quasi più appropriato. E ciò non perché l'opera abbia un carattere meno noir rispetto all'intitolazione iniziale (mentre Rigoletto suona più leggero ed allegro), ma perché questo cambio di titolo sottolinea un indubbio mutamento di prospettiva: come se Verdi si fosse accorto che questa maledizione non va attribuita a una fatalità (prospettiva tragica), ma ai personaggi del dramma che ne hanno così tutta la responsabilità (prospettiva drammatica).

Verdi porta i suoi personaggi ad accettare il loro destino, non solamente a subirlo, e ciò è vero tanto per Rigoletto quanto per sua figlia Gilda. Rigoletto può ben invocare questa maledizione come una fatalità, egli prenderà coscienza nel corso dell'opera che la sorte avversa non gli è stata imposta dall'esterno, ma che è stato lui a provocarla e a realizzarla. Anche Gilda perde la sua apparenza di vittima inerme appena ci si rende conto che il suo sacrificio è il punto culminante di una ricerca d'identità.

Io credo che se Verdi avesse voluto fare dei suoi protagonisti solo degli zimbelli del destino, quest'opera non ci colpirebbe così tanto per i suoi contrasti, gli sbalzi d'energia, gli spasimi, l'incredibile libertà di scrittura musicale e nel contempo l'unità possente e quasi paradossale che da essa sprigiona. È che in Rigoletto vita e morte sono strettamente intrecciate e l'unità dell'opera rinvia all'indefettibile unione delle pulsioni di vita e di morte. Il contrasto tra il preludio fortemente drammatico che prefigura la maledizione e la musica di scena, molto più lieve, che segue subito dopo mi sembra esprimere molto bene il contenuto poetico di quest'opera; ho dunque cercato un'evocazione visiva che mi permettesse di rientrare nell'opera attraverso quanto essa ha di più riposto. I feretri neri disegnano il paesaggio della maledizione, ma non appena si rovesciano si levano, come da crisalidi, giovani donne assolutamente vive, corpi intatti che si risvegliano alla sensualità come altrettante Susanne sotto lo sguardo dei vecchioni predatori, padri o amanti. Evocazioni di Gilda sepolta viva sotto l'amore eccessivo del padre, asfissiante nella sua purezza: per lei il desiderio distruttore del Duca sarà libertà, accesso alla vita vera, come anche alla vera morte. Con ostinazione Gilda vuole conoscere il vero nome di suo padre, poi quello del Duca suo amante: ma ciò che domanda non è in fondo che il suo stesso nome. Paradossalmente si potrebbe dire che Gilda porta in qualche modo a compimento la sua identità attraverso la morte: prendendo il posto del suo amante, e assumendone il nome, ella si consegna alla vendetta di suo padre nel momento stesso in cui trova la libertà. Morendo per l'uomo amato, Gilda raggiunge sua madre, la sposa defunta del padre, la donna che questi gli ha sempre chiesto di essere, la sola donna che ha amato Rigoletto, la sola che lo ha scelto malgrado la sua deformità. Per accedere a questa nuova dimensione sarà necessaria a Gilda la conoscenza del vero volto sia del padre sia del suo amante, del buffone e del volubile, altrettante disillusioni.

Rigoletto è un'opera piena di vita ma colma di ferite, di piaghe segrete che sono di certo anche quelle di Verdi stesso. Dietro l'apparenza rutilante dell'opera c'è una sorta di intimissima danza mortuaria. "Una terza bara esce da casa mia" scriveva il vecchio Verdi evocando molti anni più tardi le morti precoci e consecutive della giovane sposa e dei due figli. L'immagine è sorprendente. Lavorando sulla malinconia del personaggio di Rigoletto piuttosto che sulla sua arroganza, sulla sua fragilità segreta piuttosto che sul suo astio scoperto, si sente ciò che Verdi vi ha proiettato di sé stesso, l'abisso pronto ad aprirsi improvvisamente sotto i piedi e le contorsioni della sua coscienza per restare in piedi o integro. In sintonia con la doppia vita del suo personaggio eponimo Rigoletto è un'opera con un dritto e un rovescio, un costume di scena e un abito da città: il dramma comincia quando i campi d'azione si mescolano, quando cede il compartimento stagno che separa la vita pubblica da quella privata.

Il tema victorhughiano della bruttezza, della deformità non mi sembra invece così decisivo in Verdi. C'è sempre un momento in cui ci si chiede: e se Rigoletto non fosse deforme? Forse ogni padre che circonda la figlia di un amore così opprimente e costrittivo non corre verso un simile disastro? La deformità di Rigoletto mi sembra soprattutto rinviare al mondo sociale in cui egli agisce, uno spazio di corruzione e di cinismo diffuso che porta alcuni esseri umani a strumentalizzarne altri per soddisfare i propri piaceri immediati. Quello che senza dubbio mi commuove in Rigoletto è il bisogno tutto mentale e immaginario di preservare uno spazio puro, un riparo per l'amore in un mondo sconvolto dall'interesse. Tuttavia l'amore assolutamente puro come Rigoletto lo concepisce è impossibile. Se Gilda è attratta dal Duca, è perché l'amore padre-figlia è totalmente asimmetrico: l'amore del padre è quello di un uomo che non è stata lei a scegliere. Per sentirsi esistere ella ha dunque bisogno di uscire dal vincolo paterno, pur col rischio di amare qualcuno che non la ricambierà.

L'aspirazione alla purezza di Rigoletto - certamente esasperato dalla deformità e dalla sensazione di macchia che essa comporta - si può tuttavia rintracciare in tutti coloro che si rifugiano nell'amore per sfuggire alla realtà. Queste persone cercano di ricreare una piccola isola in cui credere ancora a qualcosa: quest'isola però è talmente chiusa in sé stessa che si disintegra dall'interno, distruggendo così la purezza che esse pensavano di proteggere. Rigoletto si è maledetto da solo nel tentativo di tenere rigidamente separate alcune sfere della sua esistenza, nella sua aspirazione a costruire un mondo fuori dal mondo e forse oggi bisogna ricercare proprio in quest'àmbito la portata politica dell'opera.

Alla fine Verdi sembra suggerire che il solo spazio di purezza possibile è la morte. Ma Rigoletto deve sopravvivere al sacrificio della figlia. Poiché il mondo di Rigoletto non si divide tra quelli che saranno salvati e quelli che non lo saranno, come il protagonista vorrebbe credere, ma tra coloro che muoiono e coloro che sopravvivono. È un mondo in cui non ci si può più affidare a Dio anche se i personaggi tante volte lo invocano, è un mondo senza trascendenza ove ognuno è dolorosamente rimandato a sé stesso e ai suoi fantasmi.