LA STAMPA
28.3.2003

IN PRIMA L´OPERA DI STRAUSS E HOFMANNSTHAL
Arianna ritrova la via di Venezia

di Giorgio Pestelli

VENEZIA. «Prima rappresentazione a Venezia» si legge nella locandina di «Ariadne auf Naxos» di Strauss e Hofmannsthal, andata in scena al Teatro Malibran per la stagione della Fenice con la direzione di Marcello Viotti e la regia di Paul Curran; e scoprire che una capitale musicale e teatrale come Venezia abbia atteso quasi un secolo per allestire «Arianna a Nasso» è un indizio esteriore ma significativo dell´anomalia di quest´opera in ogni senso fuori serie; comunque dopo tanto attendere l´avvenimento c´è stato, accolto da un consenso generale del pubblico e accentuato con discrezione dalla presenza in sala di due nipoti di Strauss: la cui impressionante somiglianza fisica con il volto del nonno illustre ha dato alla serata un tono di riservata solennità, come una paterna investitura a distanza. Uno dei caratteri più evidenti dell´opera resta la sua difficoltà esecutiva per i mezzi che pretende, dalla compagnia che deve cantare e recitare con pari disinvoltura all´orchestra da camera con responsabilità solistiche, alla scintillante macchina teatrale inventata da Hofmannsthal e servita da Strauss con una musica che alterna e sovrappone tutti i registri espressivi con meravigliosa sapienza. Detto questo, sia pure con qualche sbandata, lo spettacolo è nell´insieme soddisfacente e riesce ad ogni modo a dare il senso della vitalità del lavoro, specialmente innestata sulla complementarità di tragedia e commedia, di lirismo e comicità. Nell´«Arianna» la regia non è qualcosa che si aggiunge da fuori ma sta dentro l´opera come il suo nucleo generatore; Paul Curran supera benissimo lo scoglio più arduo, quel Prologo che è un modernissimo spaccato di vita teatrale dietro le quinte: riesce infatti a fonderlo in scorrevole continuità di fatti diversi e intermittenti, servendosi del contributo scenico di Kevin Knight e della pronta risposta dei cantanti che sa muovere con consumata abilità. Meno condivisibile mi pare nell´atto che segue la decisione di sostituire le individuate maschere della Commedia dell´Arte con esempi di comicità generica ispirate al musical, avendo per altro a sua disposizione un vivacissimo quartetto di cantanti-attori; in particolare la figura di Zerbinetta, affidata al soprano Sumi Jo, coraggiosamente al limite delle acrobazie vocali della parte, è troppo lontana nel costume e nel fisico del ruolo da quella finezza e allusività mozartiana che deve distinguere il contraltare quotidiano di Arianna (la vedrei benissimo come principessa nel «Galletto d´oro» di Rimski-Korsakov); di nuovo ben realizzato il finale eroico, anche perché all´arrivo di Bacco le ninfe entrano nella parte rinunciando a una stilizzazione che toglieva loro la necessaria impassibilità. La direzione musicale di Marcello Viotti ottiene precisione e scorrevolezza dall´Orchestra della Fenice ed è molto sensibile alle necessità del canto e della conversazione musicale. Nella compagnia numerosissima e tutta applaudita, particolari elogi sono andati, oltre alla Jo, al contralto Ildiko Komlosi nella parte del compositore ingenuo e geniale e alla protagonista Elisabeth Whitehouse, convincente come Arianna nei toni freddi del suo rifiuto del mondo e poi nel suo sciogliersi nell´entusiasmo finale; positivo anche il tenore, Ian Storey, nella parte di Bacco, parte ingrata perché sempre appesa al registro acuto e fastidiosamente autocelebrativa. Nelle parti più brevi ma sempre impegnate eccellenti sono parsi Peter Weber (maestro di musica), Heinz Zednik (maestro di ballo) e Adrian Erod come Arlecchino.

 

Il Gazzettino
28.3.2003

Venezia. "Arianna a Nasso" è forse l'opera di Strauss in cui ha più inciso l'influenza di Hofmannsthal, ideatore del libretto e del progetto teatrale che punta, con mirabile approfondimento dell'idea di artificio, sullo sdoppiamento e sulla coesistenza di commedia e di opera "eroica". L'azione si svolge in un palazzo di un ricco aristocratico viennese del '700. L'Opera "Arianna a Nasso" è preceduta da un Prologo, punta di diamante della modernità del compositore bavarese, in cui asciuttezza arcaicizzante, ardito novecentismo, espansione cantabile e oreficeria strumentale danno vita ad uno degli esiti assoluti del teatro del primo Novecento. Vi si raccontano i preparativi per la messa in scena con l'imposizione del facoltoso committente, attraverso la voce di un Maggiordomo, che esige la simultaneità della rappresentazione dei comici dell'arte con quella dell'opera mitica, "Arianna" appunto. C'è un Maestro di musica che vorrebbe tutelare le esigenze creative del Compositore, il quale a sua volta esprime con foga lo sdegno per l'incomprensione della sua "Arianna". Ci sono i capricci e le ambizioni delle due compagnie rivali (i comici e i personaggi seri), infine l'incontro tra il Compositore e Zerbinetta (la guida dei commedianti) espressione dei più tipico e avvincente stile patetico strauss iano. Dopo il Prologo l'Opera, con Arianna nell'isola di Nasso, circondata da tre ninfe, che aspira alla morte per l'abbandono di Teseo, mentre i comici cercano invano di consolarla e Zerbinetta le prospetta con una spericolata esibizione vocale, i piaceri della vita: realismo, ironia e illusione scenica mirabilmente convivono. C'è anche un finale liberatorio ed esteriormente positivo: Bacco soccorre Arianna e la conduce verso l'eternità.

Opera complessa nonostante la brevità, "Arianna a Nasso" segna, sotto lo stimolo del poeta, la volontà di Strauss di svincolarsi dalle suggestioni del wagnerismo. Opzione perfettamente riuscita nel Prologo, con nostalgie arcaicizzanti che rivelano come il compositore fosse consapevole della cosiddetta svolta neoclassica (siamo nel 1916, quattro anni prima di "Pulcinella" di Strawinsky, certo non ignaro di questo Strauss ) nella trasparenza degli intarsi strumentali, nella recitazione brillante e molto novecentesca, nell'operettismo magistralmente attualizzato. Proprio nel Prologo il regista Paul Carran, con la scenografia e i costumi di Kevin Knight, realizza al Malibran uno spettacolo in cui il gioco teatrale è molto abilmente caratterizzato. I costumi, diversamente dalle indicazioni del librettista, non solo del diciottesimo secolo, ma moderni, con il vantaggio di rendere più percepibile l'artificio del "teatro nel teatro" della seconda parte. La struttura scenica è ruotante: presenta da un lato una facciata di un palazzo neoclassico e dall'altro il retroscena, ove agisce la folla variopinta dei personaggi in un'allegra commistione di azioni sceniche, con un andamento a tratti pantomimico. Si sente che Curran ha anche una notevole esperienza di teatro di prosa.

L'Opera, ovvero "Arianna a Nasso", è ambientata in un piccolo teatro barocco con costumi pseudosettecenteschi. Il quadro scenico è adatto ad accogliere le desolate espressioni di Arianna, sospesa in una mitica lontananza, ma la convivenza di commedia e tragedia non convince soprattutto negli interventi dei comici, una sorta di "musical" volutamente ironico, ma di dubbio gusto, con una caratterizzazione quasi da avanspettacolo della figura di Zerbinetta. Naturalmente rendere credibile il ridondante wagnerismo del duetto Arianna-Bacco, è problematico. Curran ha cercato di chiarire nel finale l'ermetismo del pensiero di Hofmannsthal con la stilizzazione simbolica del personaggio di Bacco suggestivamente annunciato come un'ombra.

Opera difficile perché costruita con microrganismi caleidoscopici che è arduo coordinare, ma il direttore Marcello Viotti ha esaltato la continuità del discorso musicale con accenti dichiaratamente novecenteschi che si aprono anche alla fluidità melodica e ad una appassionata cantabilità. L'orchestra cameristica sotto la sua guida emerge per la qualità dei solisti di una singolare precisione e smalto coloristico.

Nella distribuzione femminile si ammirano il compositore di Ildiko Komlosi dalla vocalità passionale e dal fraseggio vincente, e l'Arianna di Elisabeth Whitehouse, intensa e pateticamente turbata negli struggenti lamenti che evocano i fasti dell'operismo barocco (il lungo monologo della protagonista è tra i culmini del teatro strauss iano). La Zerbinetta di Sumi Jo non è altrettanto autorevole, anche se canta con grazia e possiede una buona tecnica di coloratura. Ma questo è un ruolo che esige una primadonna assoluta, tanto la spettacolare aria con rondò, posta non a caso al centro dell'opera, costituisce un momento di miracoloso equilibrio dell'intera struttura musicale. Difficile oggi reperire un tenore eroico adatto alla figura di Bacco; l'inglese Jan Storey ne offre una versione liricheggiante (d'altronde la mimesi strauss iana dello "Heldentenor" wagneriano è ambigua). Di particolare rilievo teatrale la coppia del Maestro di musica (Peter Weber) e del Maestro di ballo (Heinz Zednik). Della miriade dei vari personaggi; accuratamente scelti (dalle Ninfe ai comici) ci limitiamo a segnalare l'Arlecchino di Adrian Erod e il Maggiordomo di Franz Tscherne. Caldi e prolungati consensi.

Mario Messinis

 

La Nuova Venezia
28.3.2003

«Arianna a Nasso»: successo al Malibran
Viotti esalta l'opera di Strauss
tra eccellenti vocalità e favolistici giochi di colore

di Mirko Schillipiti

VENEZIA. Rappresentare un'opera di Richard Strauss pone sempre problematiche multiple, su più piani, insite nel connubio tra musica e parola intrinseco a una delle più felici collaborazioni della storia dell'opera, Strauss e Hugo von Hofmansthal. Qui inoltre il teatro nel teatro vive a fianco della simbiosi tra frase musicale e melodia, carico di un fitto intreccio orchestrale.

Tutto ciò al Malibran nel primo degli appuntamenti straussiani voluti e diretti da Marcello Viotti nell'ambito della stagione lirica della Fenice, con Arianna a Nasso (Ariadne auf Naxos), per la prima volta a Venezia, da mercoledì scorso in un nuovo allestimento. Viotti affonda le radici interpretative nel proprio passato di cantante, avvicinando orchestra e voce in un unico abbraccio. Attento alla vocalità in ogni sfumatura, scopriva nell'afflato lirico della strumentazione, nella concentrazione cameristica la chiave per chiarificare strutture armonico-formali, per fonderle con le voci, evitando affreschi troppo sinfonici. Conservando la tensione iniziale del prologo, ne conduceva gli sviluppi nella seconda parte, progressiva intensificazione fino all'apoteosi dell'epilogo, sempre liricamente inteso, non senza esiti drammatici. La sensibilità agli impasti timbrici scopriva poi una felice adesione dell'orchestra, che già abituata al passaggio dal golfo mistico operistico al palco sinfonico, dimostrava piena consapevolezza tecnica nelle più esposte forme da camera, richieste da un organico ridotto, con ottima fusione coloristica. L'impostazione scenica trovava nella regia di Paul Curran semplicità nelle dinamiche fra personaggi, assenza di superficialità ma anche di momenti di genio, visivamente ambigua fra discrezione ed eccessivi movimenti di figure, a volte rumorosi, spesso poco attinenti all'articolazione musicale. Fluivano giochi cromatici e proiezioni di luce con una certa punta favolistica nella stilizzazione scenografica (scene di Kevin Knight), trovando nell'ultima comparsa di Zerbinetta in platea la scintilla per confermare il "teatro nel teatro", ma nella fissità dell'ultima scena sottrazione espressiva allo sviluppo musicale. Elizabeth Whitehouse (Ariadne) spaziava in una bella concentrazione lirica nella seconda parte, con escursioni dinamiche coloristiche di eccellente fattura, evitando forzature vocali, molto diverse e quasi in opposizione a Ian Storey (Bacchus), che prediligeva uno slancio lirico di eroica espressività, quasi wagneriano, in uno stretto affiatamento con la protagonista. Sumi Jo (Zerbinetta) evocava linee pseudosettecentesche in un riuscitissimo virtuosismo senza rinunciare a un acceso coinvolgimento. Applausi calorosissimi con orchestra finalmente sul palco.

 

Il Giornale della Musica
27 marzo 2003

Ariadne celestiale

di Alessandra Morresi

La nostra recensione. "Ariadne auf Naxos" di Richard Strauss è un'opera densa, anzi, densissima di contenuti, non solo per quel che riguarda la riflessione metateatrale, alimentata dai plurimi straniamenti prodotti dalla prodigiosa macchina ideata insieme a von Hofmannsthal, ma anche, e soprattutto, man mano che lo spettacolo si sviluppa, dal punto di vista strettamente musicale. Almeno tre partiture autonome potrebbero infatti prendere vita dalla quantità di idee che anima sia la scrittura orchestrale che quella vocale. Inutile ricordare che tanta ricchezza è indubbiamente favorita dall'intreccio: "anciens" e "modernes", seri e comici ancora una volta si scontrano e si fondono in uno spettacolo che, nel prologo, mette a nudo le sue strutture portanti, a cominciare dal "vile denaro", sempre persuasivo.

E così i protagonisti della serata sono stati, innanzi tutto, i cantanti e l'orchestra, quest'ultima, insieme al suo direttore Viotti, impegnata in una prova ardua, difficile, in particolare, nel prologo: la scrittura è qui eterogenea, la musica, cioè, procede senza soluzione di continuità tra stile spezzettato del recitativo e melodie spiegate, in questo contesto espressivo gli strumentisti non sempre sono riusciti ad interpretare al meglio i diversi passaggi, a volte, hanno perso il contatto con le voci. Nella seconda parte, al contrario, l'esecuzione è stata estremamente più convincente: le singole parti strumentali erano più leggibili, la differenziazione timbrica più decisa ed efficace, la risposta alla bacchetta di Viotti più lucida.

Si è così potuto godere a pieno della meravigliosa bellezza di questa musica, così intensa e sfolgorante! Il cast, da parte sua, comprendeva interpreti di primissimo livello, ottimamente distribuiti nei ruoli: è stata infatti felice la scelta di opporre la spinta drammatica di Elisabeth Whitehouse (Ariadne) all'agilità e leggerezza di Sumi Jo (Zerbinetta), i desideri di von Hofmannsthal/Strauss sono stati certamente esauditi. La cantante coreana, in particolare, ha dimostrato rare capacità funamboliche, dispiegate con estrema disinvoltura. Molto validi anche gli interpreti dei personaggi secondari. Applaudita è stata anche Ildiko Komlosi nella parte de "il compositore".

Un breve cenno, per concludere, all'allestimento registico-scenografico. Sobrie e funzionali le scene hanno opportunamente commentato la trama, rinnovandone alcuni contenuti: l'ambientazione settecentesca del prologo è posticipata ai giorni nostri, le maschere diventano protagoniste di un musical con Zerbinetta subrette in piume di struzzo, l'amore, infine, trionfa in un cielo stellato in cui Arianna e Bacco fluttuano insieme alla sfera terrestre.

 

Corriere Della Sera
2 aprile 2003

OPERA / Al Malibran di Venezia Richard trauss diretto da Marcello Viotti
Un’«Arianna» con equilibrio

di Enrico Girardi

La costruzione drammaturgica della straussiana Arianna a Nasso è prodigiosa. Così prodigiosa che sovente si tende a passare in secondo piano il suo struggente contenuto poetico. In altre parole, Arianna a Nasso non vive solo del meccanismo dell’opera nell’opera né solo della bravura dell’autore nel compendiare in elegante parodia tre secoli di teatro musicale, ma vanta altresì una riflessione sulla caducità del tempo che non ha nulla da invidiare al celebrato Cavaliere della rosa . Ciò si constata osservando il nuovo allestimento ora in scena al Malibran di Venezia. E’ uno spettacolo affidato al regista scozzese Paul Curran, che il direttore stabile del teatro Marcello Viotti guida con vigore e sensibilità, senza intaccare il delicato equilibrio formale che lo sorregge. Scene e costumi di Kevin Knight, pur «poveri», sono gradevoli e funzionali al disegno di Curran, che usa paradossi e iperboli in chiave malinconica.

Riguardo ai cantanti, Ildiko Komlosi è molto esuberante come Compositore; Elizabeth Whitehouse è un’Arianna espressiva ma un po’ in difficoltà negli acuti, mentre Sumi Jo è una Zerbinetta da lode, spigliata, fresca: un piacere vederla non meno che ascoltarla. Bene anche l’Arlecchino di Adrian Eröd e il Bacco di Ian Storey.

ARIANNA A NASSO di Strauss
Teatro Malibran di Venezia, fino al 5 aprile