La Nuova Venezia
mercoledì 29 maggio

Al Malibran "Capriccio" di Richard Strauss
"Ghiottonerie sonore per buongustai"
di Carlo De Pirro

VENEZIA. "Capriccio non è un lavoro per il pubblico, o per lo meno per il pubblico di milleottocento persone per sera. E' forse una ghiottoneria per buongustai della cultura...". Giunto alla sua quindicesima fatica operistica era forse lo stesso Richard Strauss, lontano dalle lacerazioni di "Salome" ed "Elektra", a concedersi ghiottonerie sonore fra gli impasti di musica e parola. "Capriccio" andò in scena il 28 ottobre 1942 all'Opera di Stato di Monaco, diretto da quello stesso Clemens Krauss che ne aveva steso il libretto. La fama di Strauss sopravviveva a se stessa grazie ai capolavori fina ad allora composti, mentre il suo anacronismo proseguiva nell'apollineo fascino di nature morte in citazioni e auto-citazioni. La prima sollecitazione giunse a Strauss dall'amico Stefen Zweig, e qui il riferimento era all'opera satirica "Prima la musica e poi le parole" della coppia Salieri-Casti (1786). Intervenne perfino una lettera di Goebbels ad impedire la collaborazione dell'ebreo Zweig con un fedele amico del regime nazista. Strauss si rivolse qualche anno più tardi a Krauss, potendogli confessare e sollecitare: "Per favore, lasci un po' da parte l'uomo comune di teatro. Sia questo un bozzetto sui problemi che mi interessano teoricamente. Al fine, niente happy end, ma invece tutto rimanga in sospeso".

L'azione venne ambientata nel castello della Contessa Madeleine nei dintorni di Parigi. E' il primo pretesto per una lunga serie di dispute sul teatro, sulla superiorità della musica o della parola, mediate dalla presenza di un impresario che del teatro rappresenta il primato dell'illusione, arrivando fino al meta-teatro che dialoga con se stesso (Monsieur Taupe, il suggeritore). Svincolata da obblighi di grassa espressività, la musica di Strauss intreccia tutte le forme di leggerezza ariosa. Molte sono poi le citazioni-parodia da opere del passato, fra le quali va ricordata (visto l'assonanza con la precedente programmazione al Malibran) la sinfonia del "Don Pasquale" di Donizetti. "Capriccio" giunge per la prima volta sui palcoscenici veneziani in una coproduzione fra il Teatro La Fenice e la Deutsche Oper am Rhein di Düsseldorf.

La prima è prevista per domani sera (ore 20.30, Teatro Malibran) con repliche sabato 1 giugno (ore 15.30), martedì 4 (ore 20.30), venerdì 7 (ore 20.30) e domenica 9 (ore 15.30). Maestro concertatore e direttore Isaak Karabtchevsky, regia di Tobias Richter, scene e costumi di Maurizio Fercioni, Orchestra del Teatro La Fenice. Interpreti principali Camilla Nylund (la Contessa), Bjørn Waag (il conte), Claude Pia (Flamand), Markus Wer (Olivier), Iris Vermillion (Clairon), Peter Weber (La Roche).

 

IL GAZZETTINO
Mercoledì, 29 Maggio 2002

DOMANI SERA AL MALIBRAN
Il "Capriccio" veneziano di Karabtchevsky

Venezia. Il gradito ritorno a Venezia del maestro Isaac Karabtchevsky e la prima assoluta in città di "Capriccio" di Richard Strauss connotano l'appuntamento di domani sera (teatro Malibran, ore 20.30) della stagione lirica della Fondazione La Fenice.

Il maestro Karabtchevsky, fino allo scorso dicembre direttore musicale del teatro veneziano al quale ha legato il proprio nome in questi difficili anni seguiti al tragico rogo del 1996, ha sottoscritto proprio nelle scorse settimane un contratto triennale che lo legherà dal settembre 2004 come direttore artistico all'Orchestre national du Pays de la Loire e come direttore musicale all'Opera de Nantes e Angers dove succederà a Hubert Soudant.

"È una nuova sfida che ho accettato con entusiasmo - spiega il maestro che a Venezia torna sempre volentieri - L'orchestra è forte di ben 120 elementi e fa oltre 200 produzioni l'anno, mentre per la lirica si tratta di dare un profilo più internazionale alla programmazione".

Ma veniamo a "Capriccio", un'opera immeritatamente poco rappresentata nei teatri italiani e che è stata inserita nel cartellone della Fenice proprio dal maestro Karabtchevsky nell'ambito di un ciclo alla riscoperta dell'opera di Strauss che continuerà nelle prossime stagioni. "Capriccio" è l'ultima opera composta dal musicista tedesco che vi lavorò tra il 1940 e il 1941, quindi durante il secondo conflitto mondiale, sulla base di un'idea dell'intellettuale ebreo Stefan Zweig al quale però il regime nazista impedì la stesura materiale del libretto che fu fatta a quattro mani dallo stesso Strauss e da Clemens Krauss, il quale ebbe poi l'onore di dirigerla nell'esordio al Nationaltheater di Monaco di Baviera il 28 ottobre 1942.

"È incredibile – annota Karabtchevsky – come Strauss abbia saputo isolarsi e quasi scappare da quanto stava sconvolgendo l'Europa e il mondo intero, scrivendo un brano di grande estetica, piccoli dettagli, giochi tra personaggi, intrecci. Un musicista durante una guerra può optare tra un pezzo ispirato all'ottimismo o al pessimismo: Mahler, per esempio, avrebbe fatto un brano di profonda meditazione, Strauss preferì affidarsi a una

musica trascendente"."Capriccio", come precisa lo stesso autore nel sottotitolo, è una "piece di conversazione per musica" con la quale uno Strauss ormai quasi ottantenne intese rendere, mentre l'Europa si avviava alla catastrofe, un ultimo, raffinato e problematico omaggio alla storia della musica e della cultura.

La regia dello spettacolo, un nuovo allestimento in coproduzione con la Deutsche Oper am Rhein di Dsseldorf, è di Tobias Richter, mentre nel cast troviamo Bjorn Waag (il conte), Markus Werba (Olivier), Iris Vermillion (Clairon), Peter Weber (La Roche) e Anna Smieck (la cantante italiana). L'orchestra sarà naturalmente quella della Fenice.

Si replica sabato 1. giugno, martedì 4, venerdì 7 e domenica 9.

Giuseppe Tedesco

 

 

 

Tobias Richter

A colloquio con Tobias Richter
a cura di Pierangelo Conte

Le opere di Richard Strauss hanno accompagnato l'attività artistica di Tobias Richter, regista che nel corso di vent'anni di carriera ha affrontato Die schweigsame Frau (presentata più di vent'anni fa a Parigi e a Lione), Die Frau ohne Schatten (in diversi teatri tedeschi), Elektra (due differenti produzioni, la prima per Hannover, la seconda per Weimar), Salome, Arabella e Der Rosenkavalier (anche per il Festival di Aix-en-Provence).

Al suo già ricco 'catalogo' ora si aggiunge un altro titolo...

È la prima volta che metto in scena Capriccio, lavoro che avevo conosciuto da vicino a Monaco, ancora da assistente. Si tratta di una composizione che non appartiene al cuore del repertorio tradizionale tedesco, perché espone un soggetto estremamente artificioso. Del resto nemmeno Strauss aveva definito Capriccio un'opera: preferì infatti definirla una "conversazione per musica". Il suo stile è chiaramente 'retrospettivo', non crea prospettive per il futuro, bensì offre quasi una sintesi musical-teatrale dell'opera straussiana.

Qual è stato il suo approccio a Capriccio?

In Capriccio si parla e si discute molto. Ho pensato di lavorare come se affrontassi una pièce di prosa, curando ogni dettaglio, cercando di raccontare la storia e di rendere tutte le raffinatezze e le citazioni presenti nel testo. Ho tentato di connettere l'ambientazione del libretto con il mondo attuale facendo riferimento anche alla città di Venezia, ai suoi palazzi, ai saloni aristocratici nei quali, all'inizio del Novecento, si svolgevano conversazioni letterarie e riflessioni sull'arte. Mi viene in mente D'Annunzio... Quando poi i personaggi si trasferiscono in città e la serata finisce, i costumi cambiano e cambia anche l'ambiente: l'atmosfera rimanda alla malinconia di un clima veneziano di metà stagione, ad un mondo passato.

Prima la musica poi le parole, prima le parole poi la musica: un'eterna questione, tra riforme, proclami, pratica esecutiva, teorie...

Non è possibile separare poesia e musica: anche nelle opere di Strauss questo è un tema dominante. I suoni senza le parole sarebbero impensabili. Non si può impostare la questione in questo modo, domandandosi quale dei due elementi è più importante. Sono due linguaggi che, uniti, sono in grado di penetrare tutte le pieghe del cuore: alla fine nemmeno la Contessa vuole decidersi.

Qual è il suo rapporto con la regìa d'opera?

Penso alla regìa operistica come ad una sorta di esercizio d'equilibrio: non solamente tra parole e musica ci dev'essere compenetrazione e fusione, anche tra regìa e musica bisogna tendere a questo equilibrio. La regìa deve raccontare delle storie, avendo ben chiaro fino a che punto si può spingere. Ritengo comunque che al giorno d'oggi essa occupi troppo spazio: sono anch'io fortemente interessato a letture non convenzionali, purché esse restino nell'ambito delle leggi del teatro.