Al Malibran "Capriccio" di Richard Strauss"Ghiottonerie sonore per buongustai"
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Mercoledì, 29 Maggio 2002 DOMANI SERA AL MALIBRAN Il "Capriccio" veneziano di Karabtchevsky
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A colloquio con Tobias Richter a cura di Pierangelo Conte Le opere di Richard Strauss hanno accompagnato l'attività artistica di Tobias Richter, regista che nel corso di vent'anni di carriera ha affrontato Die schweigsame Frau (presentata più di vent'anni fa a Parigi e a Lione), Die Frau ohne Schatten (in diversi teatri tedeschi), Elektra (due differenti produzioni, la prima per Hannover, la seconda per Weimar), Salome, Arabella e Der Rosenkavalier (anche per il Festival di Aix-en-Provence). Al suo già ricco 'catalogo' ora si aggiunge un altro titolo... È la prima volta che metto in scena Capriccio, lavoro che avevo conosciuto da vicino a Monaco, ancora da assistente. Si tratta di una composizione che non appartiene al cuore del repertorio tradizionale tedesco, perché espone un soggetto estremamente artificioso. Del resto nemmeno Strauss aveva definito Capriccio un'opera: preferì infatti definirla una "conversazione per musica". Il suo stile è chiaramente 'retrospettivo', non crea prospettive per il futuro, bensì offre quasi una sintesi musical-teatrale dell'opera straussiana. Qual è stato il suo approccio a Capriccio? In Capriccio si parla e si discute molto. Ho pensato di lavorare come se affrontassi una pièce di prosa, curando ogni dettaglio, cercando di raccontare la storia e di rendere tutte le raffinatezze e le citazioni presenti nel testo. Ho tentato di connettere l'ambientazione del libretto con il mondo attuale facendo riferimento anche alla città di Venezia, ai suoi palazzi, ai saloni aristocratici nei quali, all'inizio del Novecento, si svolgevano conversazioni letterarie e riflessioni sull'arte. Mi viene in mente D'Annunzio... Quando poi i personaggi si trasferiscono in città e la serata finisce, i costumi cambiano e cambia anche l'ambiente: l'atmosfera rimanda alla malinconia di un clima veneziano di metà stagione, ad un mondo passato. Prima la musica poi le parole, prima le parole poi la musica: un'eterna questione, tra riforme, proclami, pratica esecutiva, teorie... Non è possibile separare poesia e musica: anche nelle opere di Strauss questo è un tema dominante. I suoni senza le parole sarebbero impensabili. Non si può impostare la questione in questo modo, domandandosi quale dei due elementi è più importante. Sono due linguaggi che, uniti, sono in grado di penetrare tutte le pieghe del cuore: alla fine nemmeno la Contessa vuole decidersi. Qual è il suo rapporto con la regìa d'opera? Penso alla regìa operistica come ad una sorta di esercizio d'equilibrio: non solamente tra parole e musica ci dev'essere compenetrazione e fusione, anche tra regìa e musica bisogna tendere a questo equilibrio. La regìa deve raccontare delle storie, avendo ben chiaro fino a che punto si può spingere. Ritengo comunque che al giorno d'oggi essa occupi troppo spazio: sono anch'io fortemente interessato a letture non convenzionali, purché esse restino nell'ambito delle leggi del teatro. |