il manifesto
17 Gennaio 2004

Il Ballo di Gustavo sottratto alla censura
Domani, a centoquarantasei anni dal mancato esordio, l'opera di Verdi Gustavo III approda a Napoli. Ne parla Philip Gossett, il musicologo americano che insieme a Ilaria Narici ha ricostruito questa opera, prima versione di Un ballo in maschera, della quale non si sospettava a ora l'esistenza

ARRIGO QUATTROCCHI

Gustavo III di Giuseppe Verdi va in scena domani sera al Teatro San Carlo di Napoli, in prima esecuzione italiana (dopo le recite di Goeteborg e di Metz degli scorsi anni). Si tratta in realtà di una "ricostruzione ipotetica" della prima versione di un'opera universalmente nota come Un ballo in maschera. Non è un caso che ad accogliere questa prima italiana sia oggi il teatro al quale l'opera era in origine destinata. E' infatti nell'ottobre 1857 che Verdi concordò con l'impresario del San Carlo, di scrivere un Gustavo III tratto dal vecchio dramma di Eugène Scribe e ispirato alla figura del sovrano svedese assassinato nel 1792. Tuttavia, com'è noto, il libretto dell'opera venne sottoposto a una vera persecuzione da parte della censura borbonica.

Quando, il 14 gennaio 1858, Verdi sbarcò a Napoli portando con sé la partitura, l'opera era già diventata Una vendetta in domino, poiché la censura aveva chiesto al compositore e al suo librettista, Antonio Somma, di modificare l'ambientazione - dalla Svezia di fine Settecento alla Pomerania di metà Cinquecento - e di trasformare il sovrano illuminato in un più modesto duca, onde evitare il regicidio. Una vendetta in domino tuttavia non andò in scena al San Carlo; quando la censura chiese nuovi e pesanti mutamenti al libretto, Verdi rifiutò e ritirò la partitura. Propose poi l'opera a Roma; la censura pontificia si mostrò assai più disponibile di quella borbonica, chiedendo lo spostamento dell'azione fuori dall'Europa e la rettifica di alcuni dettagli, ma lasciando immutate le situazioni. Un ballo in maschera, questo il titolo definitivo, debuttò così al Teatro Apollo il 17 febbraio 1859.

Se, a distanza di centoquarantasei anni dal mancato esordio, Gustavo III approda ora al San Carlo lo si deve a Philip Gossett e Ilaria Narici, che, sulla base dell'autografo e di un importante abbozzo, hanno curato la ricostruzione di questa prima versione di cui nessuno aveva fino ad ora ipotizzato l'esistenza.

Philip Gossett, docente alla Chicago University, è il musicologo americano responsabile dei progetti di edizione critica di tutte le opere di Rossini e di Verdi, probabilmente lo studioso che più di ogni altro, nel giro di molti decenni, si è impegnato nello studio dei manoscritti dell'opera italiana dell'Ottocento, secondo una prospettiva che, grazie allo stretto raffronto di documenti storici e filologia testuale, ha portato a nuove e importanti acquisizioni. A lui abbiamo chiesto di raccontarci come si è arrivati a ricostruire il Gustavo III.

"Verdi cominciò a scrivere un abbozzo dell'opera sulla base dell'ambientazione svedese; abbozzò poi il secondo e il terzo atto già inserendo i cambiamenti di ambientazione richiesti dalla censura, quelli che sarebbero comparsi nella Vendetta in domino. Tuttavia, quando il progetto napoletano naufragò, offrì all'impresario romano Jacovacci il libretto originario del Gustavo III, non quello della Vendetta, anche se i due libretti sono quasi uguali. Dunque noi abbiamo preso il libretto inviato a Roma come base del testo letterario dell'opera."

Ma le fonti musicali dell'opera quali sono?

Le fonti sono innanzitutto l'autografo di Un ballo in maschera, sulla base del quale Ilaria Narici ha realizzato l'edizione critica di quest'opera, poi rivista da me come direttore del progetto editoriale. In una lettera all'impresario del 9 gennaio 1858 Verdi scrisse "l'opera è finita". Studiando l'autografo abbiamo compreso che l'affermazione era vera; Verdi arrivò a Napoli avendo completato la cosiddetta "partitura-scheletro", ossia una partitura in cui erano presenti la linea del basso e le parti vocali con qualche indicazione strumentale, pronta per essere consegnata ai copisti per trarne le parti vocali da distribuire ai cantanti. Avrebbe poi completato l'orchestrazione durante le prove, secondo il suo uso. Nove mesi più tardi, avendo già in mano la partitura-scheletro di Gustavo III, Verdi fece su di essa le correzioni del libretto rimaneggiato come Un ballo in maschera, utilizzando le pagine originarie per tutte le correzioni secondarie, circa il 75 per cento. Per i cambiamenti più importanti, relativi al rimanente 25 per cento, sostituì invece le vecchie pagine dell'autografo con fascicoli nuovi. Dunque, le diverse versioni della stessa opera sono scritte in palinsesto, l'una sopra l'altra, tranne che per le pagine sostituite.

E i fascicoli sostituiti?

Sono purtroppo smarriti. Tuttavia un altro e precedente documento, conservato dagli eredi di Verdi presso la villa di Sant'Agata, ci consente di risalire al Gustavo III: è l'"abbozzo continuativo" dell'opera, che contiene, in forma riassuntiva ma esauriente, quasi tutta la musica, tranne alcune scene del secondo atto, per le quali infatti abbiamo mantenuto la musica di Un ballo in maschera, cambiando solo le parole. Abbiamo assunto come ragionevole ipotesi che la partitura-scheletro fosse uguale all'abbozzo continuativo, quindi abbiamo utilizzato l'abbozzo per ricostruire quello che Verdi aveva vergato nel manoscritto portato con sé a Napoli. Nella nostra ricostruzione non c'è neanche una battuta di musica o una linea vocale che abbiamo inventato: è tutto di Verdi. L'orchestrazione è stata realizzata seguendo le indicazioni dell'abbozzo, oppure facendo riferimento all'orchestrazione di Un ballo in maschera, per mantenere una linea coerente.

Ma quali sono le differenze fra le due versioni dell'opera?

Innanzitutto il libretto del Gustavo è certamente migliore di quello del Ballo, perché è più coerente, con tutti quei riferimenti all'angelico, al paradiso, all'amore, al sesso, al sangue e alla vendetta che vennero oscurati dalla censura pontificia. Ma ci sono anche importanti differenze musicali. Ad esempio il Preludio, che nel Gustavo III sfocia direttamente nella prima scena, mentre nel Ballo è una introduzione chiusa più sviluppata. Completamente diverso è l'inizio del secondo atto, che riprende la musica della scena della maga Ulrica, in una versione molto più cupa. Quasi completamente diversa (anche se le parole sono simili) è l'aria del baritono "Eri tu", che era in origine "E se tu". Quest'aria è affascinante. Certo, "Eri tu" è una delle arie più straordinarie che Verdi abbia mai scritto; ma la versione precedente non è soltanto di alta qualità, è diversa, più interiore, vi emerge il senso di sofferenza e mestizia interna del personaggio: un brano assai commovente che è piaciuto molto ai cantanti. La differenza fra le due arie spiega anche i nostri obiettivi. Abbiamo cercato di dare una immagine più vicina possibile a quello che sarebbe stato il Gustavo III se fosse andato in scena, perché convinti che drammaturgicamente il primo libretto fosse molto potente, e che dopo il debutto Verdi non avrebbe più modificato l'opera, cosa che invece fece, costretto dalle circostanze. Nel corso della revisione compì delle modifiche che possono essere considerate anche dei miglioramenti. La ricostruzione del Gustavo III, tuttavia, cercò di recuperare un momento storico, siamo convinti non soltanto interessante, ma esteticamente valido.