IL GAZZETTINO
Domenica, 18 Aprile 2004

L'opera giovanile di Bizet, precedente di dodici anni "Carmen", riproposta al Malibran
Il fascino orientale dei "Pescatori"
Perfetta l'adesione di Marcello Viotti e del regista Pizzi all'impianto esotico

Venezia. Ritornano, dopo lunga attesa, al Malibran "I pescatori di perle" di un Bizet giovane del 1863, di dodici anni anteriore a "Carmen". Una esatta valutazione di quest'opera, straripante di melodismo, di esotismo, di grandiosi quadri sinfonico vocali e di delicate finezze, non è agevole. "I Pescatori" accolgono il costume culturale del tempo negli affreschi epici, mentre nelle oasi liriche si affacciano le trepidazioni di Micaela e le estasi amorose di Don Josè. Anche le vaste aperture corali sono bivalenti, in bilico tra misticismo oleografico e brillanti ritmi danzanti e descrittivismi che preannunciano "Carmen". L'opera celeberrima e ben più decisiva, sfrutta le invenzioni dei "Pescatori" per frammenti, per illuminazioni episodiche: in realtà, nonostante i molti precorrimenti, le due opere agiscono su emisferi diversi. "Carmen" ha una temperatura bruciante e "gaia", ed è di una realistica, asciutta durezza; i "Pescatori" sono un omaggio all'orientalismo e alla moda, e subiscono le suggestioni di un libretto divulgativo, debolissimo e senza racconto.

La vicenda dei "Pescatori" propone la consueta tripartizione melodrammatica: un tenore, Nadir, un baritono, Zurga, re dei pescatori, sono entrambi affascinati e irretiti dalla visione di una sacerdotessa, ma giurano che non cederanno mai all'amore che incrinerebbe la loro amicizia. Scoperta però l'abiura della donna, venuta meno al voto di castità, e il tradimento dell'amico, Zurga, sobillato dal sacerdote Nourabad, ligio alle regole, da primo ordina per entrambi la morte, poi propende per un totale perdono. Si rinverdiscono i miti perenni delle passioni amorose e dell'amicizia, ambientati tra templi, divinità e pescatori mossi da mistico feticismo o da aggressiva violenza.Nonostante alcuni limiti i "Pescatori di perle" sono godibilissimi, là dove prevalgono la suggestione di melodie liriche celesti, affidate al tenore e al soprano, e la grazia di tante pagine strumentali trasparenti e leggere. Nei momenti in cui Bizet non cede alle seduzioni dello stile "pompier", riesce a inventare come Bellini, canti che restituiscono dignità al belcanto, atmosfere umbratili e gentili anche evocanti la categoria del "grazioso".Purtroppo il terzo atto è indifendibile; e nemmeno l'opportuno ripristino della versione originale del 1863 - voluto da Marcello Viotti considerate le aberranti manomissioni delle edizioni postume - riesce decisivo. Interessante l'autentica restituzione del duetto Nadir - Zurga al prim'atto, di struttura più ampia e articolata.Marcello Viotti è naturalmente bravissimo: conosce tutti i segreti dei respiri musicali bizetiani, e nel contempo sente i "Pescatori" attraverso il lirismo e l'eloquenza di Gounod, con una esatta percezione di un clima culturale molto diffuso nella Francia Secondo Impero. Il direttore aderisce perfettamente alle esigenze di un grande soprano, la francese Annick Massis capace di conferire una emozionata, ma contenuta, espressività al ruolo difficilissimo di Leila, spaziando nello stile acrobatico belcantistico, come nel canto spianato. Indimenticabili i trapassi tra la grande aria e il duetto del second'atto, da "Comme autrefois dans la nuit sombre", con beethoveniani corni concertanti, in cui vive il ricordo dell'amato, all'appassionato incontro con Nadir preceduto da un canto lontano e misterioso. Il ruolo del tenore è condizionato da innumeri versioni "storiche" italiane e francesi. Non potendo disporre del suono angelico e soave di Alfredo Kraus si esperiscono voci nuove e, in certo senso, ancora un po' ingenue. Il tenore giapponese Yasu Nakayima, tendenzialmente rigido, cerca però, sotto le sollecitazioni del direttore, di smorzare garbatamente il suono, nella sua aria celeberrima "Je crois ancore attendre", anche se il timbro è piuttosto opaco. Comunque una versione dignitosa. Il baritono Luca Grassi, nell'impegnativo ruolo di Zurga, il re geloso e magnanimo, ha una buona recitazione, seppure scandita talora con accenti pre veristi (l'influenza dei "Pescatori" sul nostro verismo d'altronde è indiscutibile). Luigi De Donato offre una esecuzione corretta della figura del Sacerdote.Pierluigi Pizzi (regista, scenografo e costumista) si muove con massimo agio tra gli artifici orientalistici dell'opera: la sua adesione all'esotismo è totale, ma con un approccio sobrio e stilizzato. Molto suggestiva la scena (quasi) unica: un tempio vagamente indiano sul fondo e una struttura lignea incurvata al proscenio che ben si accorda con gli effetti marini e naturistici della partitura. Questo impianto scenografico consente una accorta alternanza di interni ed esterni, di incroci tra masse corali (eccellenti, nonostante l'esiguità dell'organico), e interventi danzanti le une complementari con gli altri. Le coreografie di Ianku, accentuano l'aspetto esotico voluto da Pizzi , evidente pure nelle enormi statue indiane che invadono il second'atto, con un solo femminile che esalta al prim'atto l'apparizione onirica della donna durante il tema della visione. Eleganti ma senza sfarzo i costumi. Caldissimi, prolungati applausi.

Mario Messinis

 

Giornale della Musica
17 aprile 2004

"Il triangolo" di Ceylon

"Les Pescheurs" in scena al Teatro Malibran è uno spettacolo che nell'allestimento rispecchia l'essenzialità della concezione musico-drammaturgica che guida il prodotto di Bizet/Cormon-Carré. I tradizionali pilastri tematici dell'opera occidentale (il triangolo amoroso e il dissidio tra amore terreno e voto religioso), trasferiti musicalmente per mezzo di un cast costituito esclusivamente da tre voci principali (soprano, tenore, baritono), hanno preso vita su di un impianto scenografico immutato dall'inizio alla fine, (fatta eccezione per qualche arredo): riprodotta fedelmente, l'ambientazione indiana è stata descritta da un tempio dorato posto in cima ad una scalinata piramidale, colorata del vuoto del nero; sul proscenio, una pedana rossa lievemente concava, su cui si definiscono i momenti salienti; le coreografie, raffinatissime, suggeriscono i passi delle danze locali. Vestito dalle tipiche sete sgargianti, il coro è stato organizzato, nei movimenti, secondo semplici traiettorie.

Del triangolo amoroso il vertice vocale è indubbiamente stato toccato da Annick Massis (Leila). Interprete dotata di qualità eccellenti, capace di intensa espressività, con una vocalità fluida e duttile nei vari passaggi di registro, la cantante ha forse fatto sbiadire il lato maschile della vicenda: nonostante, infatti, Luca Grassi (Zurga) abbia comunque dimostrato una voce robusta, sebbene un po' chiusa negli acuti, ciò che è venuto a mancare è il calore ed il trasporto della passione che avrebbe dovuto animare Yasu Nakajima (Nadir) che è apparso, invece, piuttosto freddo e poco brillante. Musica ben eseguita e ben diretta dal sempre sensibile ed efficacissimo gesto di Marcello Viotti.

Alessandra Morresi