IL GAZZETTINO
Domenica, 25 Giugno 2006

Alla Fenice un’opera giovanile ma già segnata dal genio
Il "Silla" del giovane Mozart reso con troppo realismo

Venezia. Buona parte del teatro giovanile di Mozart è ancora da scoprire. Il "Lucio Silla ", rappresentato per la prima volta alla Fenice in coproduzione con il Festival di Salisburgo, non è entrato in repertorio anche se è forse la punta di diamante della prima stagione compositiva mozartiana. Non c'è nulla, in quest'opera di miracoloso rigoglio inventivo, della ingenuità di un sedicenne. Mozart padroneggia in modo impeccabile i propri strumenti, assimila la lingua teatrale metastasiana, ma per piegarla ad un inconsueto fuoco drammatico. Così nel finale del primo atto, in un impressionante quadro sepolcrale, l'autore tralascia il frammentismo dell'opera seria coeva per realizzare una singolare continuità drammatica. È una "scena" di particolare ampiezza, in cui il recitativo accompagnato, di inedita tensione tragica, diviene fondamentale elemento coesivo tra sbalzi corali, ariosi e un toccante duetto conclusivo. È il culmine dell'appassionato amore di Giunia e di Cecilio (cui corrisponde simmetricamente l'amore di Celia e Cinna), contrastato da Lucio Silla . Il dittatore romano è a sua volta preso di Giunia, ma alla fine sceglie la rinuncia, perdona i suoi avversari e celebra la magnanimità di un potere illuminato. La drammaturgia è molto varia e utilizza i formulari d'epoca con una contrastata definizione degli "affetti". Le convenzioni sono riplasmate dall'interno e la forma dell'aria acquista aspetti multiformi e cangianti: il compositore si rivela un perfetto dominatore dello stile.

Difficile realizzare il "Lucio Silla ", anche perché il libretto di un buon letterato come Giovanni De Gamerra è farraginoso e ripetitivo. Tuttavia la regia di Jrgen Flimm, artista molto celebrato in Germania e futuro responsabile del Festival di Salisburgo, si propone di vivificare le tipiche modalità dell'opera seria settecentesca, seppure con alcune forzature del testo. Per esempio, nel finale il gesto di clemenza del tiranno, nel segno di una affermativa riconciliazione, è omesso dal regista: il dittatore, privato dell'aulico decoro, viene trucidato dai suoi seguaci con una soluzione naturalistica che non ha molto a che vedere con l'apparato celebrativo dell'opera. Il limite, d'altronde, di questa lettura sono proprio gli eccessi di notazioni naturalistiche che rischiano di travisare il virtuosismo idealizzante di Mozart.

Una semplice struttura ruotante è abilmente utilizzata. Da un lato c'è una facciata di palazzo neoclassico, mentre dietro la scena agiscono macchinisti, tecnici di palcoscenico, folle variopinte.Ne escono interazioni tra aspetti vagamente tradizionali (i costumi dei sei personaggi e di varie comparse sono per lo più settecenteschi) e interventi attualizzati. Le arie sono spesso visualizzate da figurazioni prevalentemente pantomimiche o coreografiche. È una scelta che forse nasce dalla sfiducia del regista nelle risorse teatrali di un'opera tardo barocca. Comunque, Flimm caratterizza in modo molto netto e analitico la recitazione, ma con abusi realistici; ha omesso buona parte dei recitativi secchi con la conseguenza di alterare l'equilibrio tra parti cantabili e narrative, ma di favorire la ricezione di una partitura molto lunga e quasi sconosciuta. In definitiva, una versione infedele di un regista di consumata esperienza teatrale.

La splendida compagnia conosce le più aggiornate tecniche belcantistiche. Curiosamente il protagonista non è Lucio Silla , ma la coppia appassionata di Cecilio e di Giunia, ai tempi di Mozart un evirato e un soprano. Alla Fenice la rinuncia ad un controtenore (voce comunque artificiale) è largamente compensata dalla presenza di Monica Bacelli, che esalta le passioni attraverso incandescenti risorse cantabili e ornamentali. Si ha la riconferma che Mozart moltiplica le seduzioni psicologiche proprio con il ricorso ad ardite colorature. Non è da meno Annick Massis nell'impervio ruolo di Giunia, uno dei personaggi più penetranti e complessi del giovane Mozart, che il soprano francese disegna con intenso patetismo e ardente tragicità, anche nelle vertiginose agilità di forza. La coppia Cinna-Celia punta sulla grazia seducente di Veronica Cangemi e sulla incantevole leggerezza di Julia Kleiter. Lucio Silla è affidato a un tenore eroico, Roberto Saccà, dal vigoroso smalto declamatorio, con crude aggressività volute dalla regia. Dello stesso livello esecutivo il secondo tenore Stefano Ferrari.

Il giovanissimo e dotato direttoremoravoThomas Netopil, di classicistica formazione mitteleuropea, è già un sensibile interprete mozartiano. Lo si è notato subito nella spontanea dignità stilistica con cui ha offerto la Sinfonia iniziale.In prospettiva potrebbe approfondire una ulteriore differenziazione dei diversi climi espressivi dell'opera. Ben coordinati orchestra e coro. Caldo successo con qualche isolata contestazione al regista.

Mario Messinis

 

La Nuova Venezia
25 giugno 2006

Lucio Silla, un'opera di voci
Alla Fenice applausi a Netopil, contestata la regia

di Mirko Schipilliti

VENEZIA. Io che pugnai per Roma, io che vinsi per lei, io che la face della civil discordia col mio valore estinsi, io che la pace per opra mia regnar sul Tebro or vedo, canta Lucio Silla nell'omonima opera seria di Mozart, andata in scena alla Fenice venerdì scorso, seguendo la predilezione dell'epoca per i soggetti ambivalenti nei quali alberghino sentimenti opposti, come nel dittatore dove si compenetrano aggressività e benevolenza. Ma Lucio Silla di Mozart è un'opera problematica soprattutto per i profili vocali, secondo la linea settecentesca a favore dei grandi virtuosi, se non altro perché Mozart ebbe a disposizione alcune delle migliori voci, castrati inclusi. Lucio Silla è andato in scena in un nuovo allestimento in coproduzione col Festival di Salisburgo, dove verrà replicata dal 23 al 1 luglio, regia di Jürgen Flimm, dal 2007 direttore del festival austriaco. Dunque, opera di voci soprattutto, e nel cast veneziano brillava Veronica Cangemi (Cinna), che di repertorio settecentesco sa moltissimo, sapendo unire una coinvolgente varietà espressiva, correlata al testo, a un'esemplare articolazione della frase e delle coloriture. Al suo fianco Monica Bacelli (Cecilio) non era da meno, anche se con altre connotazioni, leggerezza vocale ed eleganza di esposizione. Roberto Saccà (Silla), già alla Fenice per Traviata con Maazel, dispiegava nel suo ruolo autorevole, una vocalità compatta ed energicamente varia nei toni. Applaudita Annick Massis (Giunia), molto lirica e di migliore resa nelle parti lente più che nelle coloriture. Agilissima, talora un po' statica, la presenza di Julia Kleiter (Celia), il bravo Stefano Ferrari era Aufidio. La direzione musicale era affidata al ventottenne praghese Tomás Netopil, che sta percorrendo una carriera notevole, vincitore nel 2002 del concorso Solti dell'Orchestra della Radio di Francoforte, ottima visibilità per chi debutta nella direzione. Concertazione elegante e precisa, talora eccessivamente volta all'accompagnamento delle voci, ma sempre ben sostenute, riducendo i contrasti timbrici in una compagine strumentale dove la definizione della varietà di fraseggio e timbro, le trasparenze e le connotazioni ritmiche di ogni intervento provocano la fantasia dell'interprete.

La regia di Jürgen Flimm si concentrava sui protagonisti cogliendo la musica come opera esclusiva di voci, e riducendo l'impianto scenico complessivo ad allusioni e semplici accorgimenti. Scena fissa con facciata neoclassica, poi ribaltata con cambi prospettici, contesti accennati come il recinto-prigione di Cecilio e Goinia, offrendo una personale versione dell'epilogo, nel tentativo di sconvolgere il lieto fine, dove Flimm vuole che Silla liberi Cecilo ma costretto da Cinna, e che sia assassinato dall'amico Aufidio all'ultimo momento, sapore di complotto inatteso, quando al di là delle tensioni amorose, l'intrigo politico viaggia inelluttabilmente sui propri binari, Scene di Christian Bussmann, costumi di Birgit Hutter. Coro preparato da Emanuela di Pietro. Applausi calorosi, con qualche contestazione per la regia.

 

IL GIORNALE DI VICENZA
Mercoledì 28 Giugno 2006

Lirica. Fino all’1 luglio alla Fenice l’opera poco eseguita di un Mozart sedicenne
Lucio Silla, la musica si salva
Ma la regia stravolge il testo

di Cesare Galla
inviato a Venezia

Quando scrive Lucio Silla, la sua ultima opera per l'Italia (non l'ultima opera italiana: arriveranno il miracolo di Idomeneo e la meraviglia ultima della Clemenza di Tito), Mozart ha 16 anni e trascorsi drammatici di vario genere fra buffo, serio ed encomiastico, al servizio delle corti. A Milano, nel 1772, si confronta con un soggetto aulico e classico, di tipicissima impronta metastasiana, affidato peraltro al verseggiare di un librettista come Giovanni De Gamerra, ligio al canone del poeta cesareo ma certo privo della sua eleganza e scorrevolezza. Dal punto di vista letterario il calco è polveroso e drammaturgicamente assai povero; musicalmente è il campo di una interessantissima precoce prova d'autore. Com’è naturale, naturalmente Mozart non punta a sconvolgere i nessi teatrali e musicali della tradizione, ma certo li irrobustisce di una tensione drammatica nuova: dilaga il recitativo accompagnato, con le sue robuste potenzialità espressive, mentre arie e pezzi d'insieme tendono nei momenti migliori a modellarsi secondo un senso scenico innovativo, non più legato semplicemente alla logica degli "affetti" della tradizione settecentesca, ma volto a determinare la drammaturgia a partire dai personaggi e dalle situazioni.

Nell’anno mozartiano, la Fenice è andata meritoriamente a riscoprire questo piccolo e particolare gioiello assai poco eseguito e lo ha fatto legandosi al tempio del mozartismo mondiale, il Festival di Salisburgo, con il quale lo spettacolo è co-prodotto. Peraltro, non è che guardare a Salisburgo sia un’assicurazione artistica a prescindere. Neanche se la regia è firmata da un illustre uomo di teatro, Jürgen Flimm, che dal 2007 del festivalone austriaco sarà addirittura il gran capo. Nella fattispecie, Flimm si è inventato uno spettacolo improbabile e francamente brutto, sospeso in un realismo anti-classico molto di maniera (visto che il tema è la tirannide, le suggestioni d'attualità sono a portata di mano, a partire dagli scrostati manifesti elettorali italiani che occhieggiano qua e là) e povero d’idee. I costumi (Birgit Hutter) sono modernisti ma strizzano l’occhio al Settecento e sembrano usciti dall’atelier di uno stilista alla moda; le scene (Christian Bussmann) alludono alla classicità con la facciata mobile di un palazzo che variamente viene spostata e rigirata (sembra la frons scenae dell’Olimpico) ma contemporaneamente mostrano il "ventre" del teatro così com’è, senza finzione rappresentativa, facendo correre un alto muro di mattoni sul fondo e praticamente portando tutta l’attrezzeria a vista. Ciliegina sulla torta, Flimm pensa bene di rovesciare il finale, che prevede la rinuncia da parte di Lucio Silla alla tirannide e alla politica stessa e il via libera alle osteggiatissime coppie di amanti della vicenda. E così il dittatore diventa vittima di un vero e proprio golpe, piuttosto che delle sue resipiscenze morali, e non la passa liscia neanche dopo essere stato costretto all'abbandono: finisce barbaramente assassinato (o giustiziato…), mentre il coro canta le lodi della sua magnanimità.

Spettacolo senza eleganza, senza finezza e senza intuizioni drammaturgiche davvero qualificanti, questo Lucio Silla si fa invece apprezzare, e molto, dal punto di vista musicale. Sul podio c’è un giovane direttore di talento, Tomas Netopil, che mette in evidenza un’interessante predisposizione mozartiana nella scioltezza affettuosa del fraseggio, nella brillantezza dei colori, nella duttile precisione con cui segue la trama espressiva del compositore adolescente.

In scena canta una compagnia di assoluto livello, nella quale spiccano la Giunia di Annick Massis, intensa e agile al tempo stesso, dalla colorature abilmente cesellata; il Cecilio "en travesti" di Monica Bacelli (il primo interprete del ruolo fu il celebre evirato Venanzio Rauzzini) che sfoggia una linea di canto di grande pertinenza stilistica e un colore fascinosamente ambrato; il Lucio Cinna di Veronica Cangemi, efficace e precisa. Ottima anche Julia Kleiter nei panni di Celia, per agilità ed eleganza timbrica, così come il secondo tenore Stefano Ferrari, che risolve l'unica aria di Aufidio con disinvolta puntualità. Il "primo uomo", nei panni di Lucio Silla, era Roberto Saccà, accorto ma non trascinante in una parte che non offre in realtà i gioielli che adornano le altre.

Pubblico folto, accoglienze calorose, qualche dissenso per il regista. Alla Fenice sono ancora in programma due repliche, domani alle 19 e sabato 1° luglio alle 15.30.

 

CORRIERE DELLA SERA
domenica 2 luglio 2006

Lucio Silla di Mozart al Teatro la Fenice di Venezia
Il perdono, gran tema per Mozart

Il tema umanissimo del perdono è il più frequente nella drammaturgia mozartiana, e non potrebbe essere altrimenti in un orizzonte teatrale al cui centro sta quella povera cosa che manca di tutto che è l' uomo stesso. Ecco dunque che già in Lucio Silla, opera che Mozart compose sedicenne per il Regio Ducal Teatro di Milano, il nodo vero drammatico consiste nella scena finale, quella del perdono appunto. Che Silla concede urbi et orbi in modo immotivato, simile in ciò non tanto al Tito della Clemenza quanto al Pascià del Serraglio.

Nell' edizione che va in scena a Venezia, e presto anche a Salisburgo, essendone coproduttori la Fenice e il Festival, il regista decide tuttavia di sciogliere quel nodo facendo ammazzare il dittatore romano dal popolo: degna conclusione di una messinscena brutta, oltre che sbagliata, il cui unico motivo di stupore è come sia possibile che rechi la firma di un regista di vaglia quale Jürgen Flimm. Uno spettacolo in cui si tenta di fondere il classico il neoclassico il moderno e l' astratto con esiti di rara bruttezza figurativa. Un peccato, considerata l' importanza dell' opera e la scarsa frequenza con cui appare sulle scene.

Gli esiti della direzione di Tomas Netopil sono invece di rara monotonia, ma per chi lo abbia ascoltato nel Fidelio di Napoli e nel Serraglio torinese è un progresso. Ha 28 anni, chissà che un passetto alla volta non arrivi alla maturità artistica regalando finalmente un perché alla frequenza e al rango delle scritture che va collezionando. Il cast è di ottimo livello, però, e dà una ragion d'essere alla produzione. Ne fanno parte Roberto Saccà, Annick Massis, Monica Bacelli, Veronica Cangemi, Julia Kleiter e Stefano Ferrari.

Enrico Girardi

 

la Repubblica
lunedì 3 luglio 2006

MUSICA
Invenzioni e sorprese nel nuovo "Silla" di Mozart

di DINO VILLATICO

La notizia è la collaborazione del Teatro La Fenice con il Festival di Salisburgo, dove questo allestimento del Lucio Silla mozartiano andrà in scena il 24 luglio. La prima veneziana, venerdì 23 giugno, un mese prima del debutto salisburghese, è stata festosa e acclamante, salvo qualche timido dissenso per la regia di Jürgen Flimm. Mozart aveva 16 anni quando compose forse l´opera seria più bella del secondo settecento. Ma in cui già smonta e distorce tutti i meccanismi del genere, a cominciare dal ripudio della forma italiana dell´aria, per lo più sostituita dalla forma sonata tedesca. E tedesco è anche il contrappunto intricatissimo della scrittura strumentale. Insomma d´italiano c´è quasi solo la lingua che cantano i personaggi.

Flimm proietta sulla scena tale sbaraccamento del melodramma italiano, rievocando, in parte le rovine di Piranesi. Una facciata incompiuta o degradata dell´Olimpico di Vicenza, figuranti insensati che s´aggirano mezzo svestiti per la scena, azioni deliranti dei personaggi senza nesso con il dramma. L´idea è strepitosa, la realizzazione un po´ pasticciata. Purtroppo è invece banale, vecchia, la direzione di Tomas Netopil, un Mozart oggi assolutamente inattendibile. In compenso è eccellente il cast sulla scena: Roberto Saccà (Silla), Annick Massis (Giunia), Monica Bacelli (Cecilio), Veronica Cangemi, Julia Kleiter, Stefano Ferrari. Bene l´orchestra e il coro del Teatro.

 

Operaclick.com
28 giugno 2006

Venezia, Teatro La Fenice: Lucio Silla

Lucio Silla segna l’addio di Mozart alle scene italiane, o meglio a quelle milanesi, che aveva conquistato due anni prima, nel 1770 col Mitridate e ripetendo il successo l’anno seguente con Ascanio in Alba, e chiude una trilogia che potremmo definire in certo qual senso "romana", la quale si completerà un ventennio più tardi con quel capolavoro che è La clemenza di Tito.

Nel Lucio Silla è già presente "in nuce" il tema del sovrano illuminato, che sacrifica le proprie passioni per il bene non solo dello stato, ma anche delle persone a lui vicine, che pur contro di lui tramano; se però ne "La clemenza" quello politico sarà elemento fondamentale dell’opera, con chiari intenti celebrativi dell’ imperatore d’Austria, nel Lucio Silla la connotazione politica resta, di fatto, ascrivibile al solo Cinna, personaggio di moralità assai discutibile in questa particolare occasione, e che, insieme a Giunia, costituisce il vero motore dell’azione. Nonostante il libretto del quasi esordiente Giovanni De Gamerra, più preoccupato di promuovere se stesso che non di servire alla musica, Mozart compone un’opera che ci introduce, almeno in parte, al suo primo vero lavoro compiuto, ossia a quell’Idomeneo, re di Creta che lo consacrerà, sei anni più tardi, sommo compositore d’opera e scandagliatore delle passioni umane più profonde, e lo fa, soprattutto, con l’uso sapientissimo di recitativi accompagnati che in più di un’occasione superano in bellezza e pathos le stesse arie che li seguono.

La produzione veneziana, realizzata in collaborazione col Festival di Salisburgo, durante il quale sarà ripresa nel prossimo agosto, sembra concentrarsi, grazie all’allestimento di Jurgen Flimm, più sugli aspetti politici del dramma che non su quelli più squisitamente legati alle vicende personali dei protagonisti, aspetti che, per altro, parevano stare a cuore anche al librettista. Per Flimm, Lucio Silla è un dramma sociale più che personale; il popolo, non solo in veste di coro, ma anche di mimi e danzatori, è quasi sempre presente ad amplificare i moti dell’animo dei protagonisti: ecco dunque familiari che seppelliscono i propri morti nel cimitero nel quale Giunia si reca a chiedere conforto all’ombra del padre, uomini e donne sobillati da Cinna alla rivolta contro il dittatore, innamorati che si inseguono accompagnando i vaneggiamenti amorosi di Silla. A sigillo della sua lettura, il regista sceglie di far morire il dittatore, costretto da Cinna, che anche storicamente gli succederà al potere, a leggere la propria abdicazione al potere un secondo prima di essere ucciso. Lo spettacolo, tutto sommato, funziona, pur in una sorta di placida convenzionalita che, comunque, ha il pregio di non creare discrepanze tra l’azione scenica ed il dettato della musica. Forse nelle intenzioni di Flimm la trasgressione avrebbe dovuto essere palpabile, magari nell’istericità un po’ troppo caricata di alcuni movimenti, ma per noi tutto è filato nei binari di un’elegante routine.

Piacevole l’impianto scenico, di Christian Bussmann, dominato da una frons scenae di teatro classico che, ruotando su se stessa ci mostra il gioco, caro alle regie tedesche, del "teatro rovesciato", unita ad una cura attenta di piccoli particolari descrittivi, che meglio aiutano a comprendere l’azione. Bene anche i costumi di Birgit Hutter.

Tomas Netopil concerta con brio ed eleganza, sempre attento a rendere quasi palpabili le raffinatezze della partitura; la scelta dei tempi e gli impasti orchestrali risultano appropriati e convincenti. Bene si è comportata l’orchestra e bene ha cantato il coro, diretto dalla sempre ottima Emanuela Di Pietro.

Elemento essenziale per la buona riuscita complessiva della serata è dato, senza dubbio, dall’omogeneità del cast, che, tranne qualche minuscola menda, si è dimostrato all’altezza della situazione. Annick Massis, al debutto nel ruolo, è una Giunia ideale per voce e per interpretazione. Il soprano francese, forte anche di una presenza scenica ammaliatrice, rende il suo personaggio tenero e deciso ad un tempo; la voce è bella, la linea di canto pressoché perfetta, le agilità impeccabili. Per lei un trionfo. Assolutamente convincente anche Monica Bacelli la quale, pur non essendoci parsa in perfette condizioni di salute, ha sfoderato grinta e tecnica per dar vita ad un Cecilio appassionato. Ottimo successo anche per lei, con applausi, meritati, al termine di ciascuna delle sue quattro impervie arie. Roberto Saccà, nel ruolo eponimo, ha dimostrato una volta di più il suo valore nel repertorio mozartiano; la sua voce potrà non piacere ad alcuni per la sua impostazione tipicamente tedesca, ma sta di fatto che egli ricrea un personaggio di grande spessore e lo fa con tecnica sicura, acuti facili e fraseggio nitido. Rivelazione della serata il giovanissimo soprano Julia Kleiter, Celia, che ad un’indubbia avvenenza unisce un voce davvero molto bella, sostenuta da un gusto interpretativo non comune e da un ottimo patrimonio tecnico. Belli gli acuti e belle le agilità. Veronica Cangemi è un Cinna di buon livello, cattivo al punto giusto, secondo il dettame del regista. La voce è sempre piacevole nel timbro, nonostante qualche piccola sfocatura in acuto, e la presenza è costantemente partecipe. Bene infine la prova del tenore Stefano Ferrari, Aufidio, che, giovanissimo, mostra già ottimi mezzi tecnici uniti ad una voce di timbro assai gradevole. Ci farà piacere riascoltarlo presto, anche per la sicurezza mostrata nelle agilità.

Alla fine applausi convinti per tutti, e qualche dissenso al regista.

Alessandro Cammarano

 

Amadeus
settembre 2006

VENEZIA Lucio Silla
Omaggio agli ammiratori di Gamerra, librettista dell'opera imperiale

di Mario Bortolotto

Non sempre i centenari, e le loro sottospecie (cinquantenari, centocinquantenari), servono a nulla. Almeno così dimostrano talune scelte della Fenice: e proprio ora la rappresentazione del Lucio Silla mozartiano, mai comparso in quella sala splendente, che tanto gli si addice.

In genere opere siffatte vengono sottoposte a una rigorosa potatura, non sempre evitabile. Ma nel nostro caso, i recitativi superstiti, per la verità abbondanti, sono assai godibili, se almeno i cantanti ne fanno intendere le parole. Apparteniamo a una schiera non numerosissima degli ammiratori del librettista Giovanni de Gamerra, cui si deve anche la versione ritmica, cioè cantabile, della Zaubetflöte: e non dimentichiamo che la più celebrata aria di coloratura sarebbe stata accolta (gli "angui d'inferno") in un mottetto del nostro maggior poeta moderno: che anch'egli impazziva per Megera eAletto, com'è ovvio del resto.

Certo, eseguire un'opera siffatta è impegno gravosissimo, e solo in parte il teatro veneziano se l'è cavata. Buona certamente la compagnia di canto, con due soprani eccellenti, Annick Massis e Monica Bacelli, Giunia e Cecilio. Ma si fecero onore anche Roberto Sacca, protagonista (o almeno title role), Veronica Cangemi, Julia Kleiter e Stefano Ferrari. Dirigeva, con esattezza, il maestro Tomas Netopil.

Il programma di sala, crudelmente, ci mostrava le scene immaginate da Fabrizio Galliari, per la prima milanese del 1773. Quali splendori: il Monte Quirinale, il "piccol tempio", l'"atrio magnifico ove sono collocati i Monumenti degli Eroi di Roma" e via discorrendo. Tutto ciò è scomparso, per cedere il posto a un arco che, a un tratto, gira su di sè, senza che se ne intenda la ragione. Orripilanti i costumi, che trasformano un'opera imperiale in un'accolita di straccioni.

È certo difficile imporre a due graziose signore movenze eroiche, o almeno maschili, ma non c'è niente da fare: sono oggi Hosenrolle, come dicono i tedeschi, vale a dire parti in braghe. Da tempo le nostre filologiche invocazioni per il ripristino dell'evirazione (ostacolata solo da una mediocre poesia dell'abate Farini) sono finite nel nulla. Ma che, con due bravi soprani, si possa fare qualcosa di meglio ci pare indubbio.

Ci rallegriamo invece con 1'Orchestra fenicea che, quando vuole, ci dà lezioni di gusto: basti citare it violoncellista Alessandro Zanardi, ottimo nel continuo.

Se mai la costumista capitasse a Roma le consigliamo una visita a Palazzo Barberini. Osservi it colore delle piume, e il soggolo, nel ritratto di Anna De Amicis, che fu la prima Giunia, e cerchi di capire qualcosa di quanto 1'aureo Settecento sapeva, in fatto di eleganza: mai disperare.

 

Salzburger Nachrichten
26. Juni 2006

Alte Oper ohne Funken
Der letzte ausländische Baustein zum "Mozart22"-Projekt der Salzburger Festspiele wurde Freitag im Teatro La Fenice in Venedig gesetzt: "Lucio Silla."

KARL HARBVENEDIG (SN). Um "Lucio Silla", die Opera seria des 16-jährigen Mozart für Mailand, als frühen Geniestreich zu erleben, gab es in den vergangenen zwei Dezennien beste Gelegenheit. Vor 20 Jahren entdeckte Patrice Chéreau in Brüssel (und später in Mailand) das Jugendwerk als finstere Parabel eines unerbittlichen Machtapparats, in dem fatale Intrigen jedes Gefühl der Liebe im Keim ersticken und in eine ausweglose menschliche Katastrophe führen. Streng ritualisiert wie ein japanisches No-Spiel lief das Drama ab.

Acht Jahre später setzten für Mozartwoche und Salzburger Festspiele Peter Mussbach und Robert Longo machtvoll symbolisch, disparat, offen und irritierend, aber in den Bildfindungen oft spektakulär und kühn, aufreizend gegen alle Handlungslogik neue Akzente für das Werk.

Und im Vorjahr wurde, triumphal gefeiert, bei den Wiener Festwochen Claus Guths atemberaubend spannende, zwischen präziser Menschenbeobachtung und neuer Bildmagie die Seria wie einen Thriller umsetzende Sicht zur Diskussion gestellt - angefeuert und dramatisch entfacht von Nikolaus Harnoncourt, der "Lucio Silla" auch schon in Zürich zu einem musikalischen Triumph werden ließ.

Diese Vorgeschichte ist von Belang, wenn man nun die vom Teatro La Fenice in einer Koproduktion mit den Salzburger Festspielen 2006 herausgebrachte Premiere einer Erstbeurteilung unterziehen soll. In Salzburg wartet die Felsenreitschule auf die einfache, aber auch wenig aussagekräftige Szenerie von Christian Bussmann.

Vielleicht nehmen es dann ja die "theatralischen" Arkaden mit der bewusst als "Bühnenbild" hingesetzten römischen Triumphpforte auf, die als Dekorationsteil gedreht und verschoben werden kann. Ansonsten ist die Bühne weitgehend leer und diffus.

Genau so sind auch die Handlungsmuster, die die Sängerinnen und Sänger (nur zwei Tenöre: Roberto Saccà als heldisch schmetternder Lucio Silla und Stefano Ferrari als unauffälliger Aufidio) vorführen. Jürgen Flimm, der Regisseur der Neuinszenierung, scheint nicht wirklich Feuer gefangen zu haben an dem Stoff. Er arrangiert allzu pauschal und uninspiriert eine schematische Story, aus der Funken zu schlagen wären: vom grausamen Diktator, der gewissermaßen über Leichen geht, um das Objekt seiner Begierde mit allen Mitteln von Tyrannei und Gewalt zu bekommen, eine Intrige, die schief läuft in einem "Überwachungsstaat", eine beispielhafte Standhaftigkeit der "reinen" Liebe einer Frau, die weder vor dem Tod zurückschreckt noch selbst "todbringend" sein will - alles Themen in Mozarts Zukunft.

Flimm kann, eine ernüchternde Überraschung, mit diesen Menschen kaum etwas anfangen. Um etwas Dekoratives zu schaffen, kommt ein Bewegungschor ins Spiel, der einmal bei leichtem Schneetreiben Menschen begräbt, dann eine Phalanx von Fetischen wieder ausgräbt (für Mozarts kühne Ombra-Szene auf dem Friedhof), dann aber auch Festgesesellschaft spielt: alles Hilfskonstruktionen, die vom Kern ablenken. Und wenn schließlich das Gefängnis (nur ein Detail) ein eisernes Bettgestell ist, das von rot-weißen Scherengittern umstellt wird, ist das nicht einmal ein "Effekt".

Den Schluss spitzt Flimm freilich zu: Lucio Silla verzichtet nicht freiwillig auf die Macht aus geläuterter Einsicht oder herrscherlicher Milde. Er wird vom Intrigenführer Cecilio gezwungen, eine vorbereitete Erklärung zu verlesen, ehe er meuchlings niedergestreckt wird. Das ist aber ein Einfall, der drei Stunden lang nicht vorbereitet wird.

Eine Opera seria, schematisch musiziert "Lucio Silla" ist in dieser Version auch musikalisch herzlich uninteressant. Durch den Tod von Marcello Viotti bekam der junge Tscheche Tomás Netopil seine Chance. Er hat den Solti-Wettbewerb gewonnen und Etliches an italienischen Opernhäusern dirigiert. Mozarts Seria setzt er arg fantasie- und ideenlos in den Sand. Arie um Arie wird erschreckend fad abgespult, wobei die lustlos und ohne Agilität erscheinende Spielkultur des Fenice-Orchesters ein Gutteil der Eintönigkeit zu verantworten hat.

Wer sich auch nur ein bisschen bei Mozart-Interpretationen der letzten Jahre und Jahrzehnte umgehört hat, glaubte diesen "Stil" eigentlich längst überwunden. Dass Flimm unter diesen Umständen also auch musikalisch weder Mitstreiter noch einen kreativen Gegenpart (à la Harnoncourt) hatte, mag das Ungefähre der Regie erklären.

Die Besetzung hat dem gegenüber durchaus feines Format. Mit Annick Massis (Giunia), Monica Bacelli (Cecilio), Veronica Cangemi (Cinna) und Julia Kleiter (Celia) sind alle Stimmfächer sorgfältig und überlegt besetzt. Alle könnten sie, wie wir wissen, auch spielen, würden sie herausgefordert.

Es bleibt nicht viel Zeit bis zur Salzburger Premiere am 25. Juli. Man sollte sie nutzen, um für die drei Aufführungen in der Felsenreitschule da und dort noch mehr zu tun oder wenigstens mehr Übersichtlichkeit herzustellen.