IL GAZZETTINO
Lunedì, 12 febbraio 2007

Va in scena alla Fenice l’opera di Wolf-Ferrari
Wolf-Ferrari e le tentazioni della modernità

Venezia. Ermanno Wolf-Ferrari ricorre nella Vedova scaltra per i tramiti del librettista Ghisalberti, alla celebre commedia di Goldoni traducendone la prosa in una versificazione abbastanza fedele. Siamo a Venezia, a metà del Settecento. La avvenente vedova Rosaura ha quattro corteggiatori provenienti da diversi paesi: il Conte di Bosco Nero, monsieur Le Bleau, milord Runebif e don Alvaro di Castiglia. L'intreccio si svolge tra le astuzie della vedova e le schermaglie dei suoi pretendenti. Rosaura decide di verificare i sentimenti degli spasimanti, mostrandosi loro, senza farsi riconoscere, travestita volta a volta da francese, spagnola, inglese e italiana. Ma solo il Conte non cede alle lusinghe della donna mascherata. Così alla fine Rosaura sposerà il nobile italiano. Figure come la tradizionale cameriera Marionette e il brillante Arlecchino sono tra i motori della vicenda.

Wolf-Ferrari riprende le proprie ben collaudate esperienze goldoniane. Non ci sono però la naturalezza, la felicità melodica, gli aerei concertati dei Rusteghi, anche se la scrittura è aggiornata e in qualche modo sensibile alle tentazioni della modernità. La Vedova scaltra è andata in scena nel 1931, un quarto di secolo dopo l'opera più fortunata. Si moltiplica il citazionismo allusivo coletterale (c'è addirittura un lamento barocco che guarda a Haendel); sono solo i fantasmi del mondo di ieri, talora attraversati da bagliori veristi. Tuttavia nella scrittura sinfonica Wolf-Ferrari si rivela un orchestratore sapiente, sfiorato da modi neoclassici negli intarsi cameristici e nella grazia strumentale, talora persino francesizzante o quasi alla de Falla: un modo per attenuare le ben note, e pervicaci, soggezioni al Falstaff e alla cultura viennese. Ne esce un montaggio linguistico frastagliato, sostenuto con distaccata bravura, ma di una inerte teatralità.

L'atteggiamento è duplice: da un lato c'è una nostalgia, in chiave diretta, del Settecento (peraltro filtrata attraverso l'operettismo valzeristico postromantico); dall'altra una riflessione sugli stilemi del passato in chiave di distacco neoclassico. Su questo piano è evidente la differenza con la comicità sentimentale dei Rusteghi. Le strutture vocali, spesso sbiadite e monocordi, poggiano su un generico stile di conversazione. La Vedova scaltra regge il tono di commedia nel prim'atto, ma poi la drammaturgia si stempera e diviene ripetitiva: la compiaciuta maestria della scrittura non riesce a costruire un discorso scenico vario e pungente.

Massimo Gasparon , regista scenografo e costumista, apre lo spettacolo della Fenice con un efficace taglio teatrale moderno, anni Trenta, mentre l'ambientazione scenica poggia per tutta la rappresentazione su vistose memorie barocche, neoclassiche e antiquariali (addirittura con una realistica riproduzione del monumento a Goldoni in Campo S. Bartolomeo). Il racconto però cede, dopo lo spigliato esordio, ad uno smodato bozzettismo caricaturale settecentesco. Forse sarebbe giovata almeno nei primi due atti, una ulteriore stilizzazione novecentesca, mentre il terzo atto, con il gioco delle maschere, si presta maggiormente al calco retrospettivo. Comunque il discorso scenico, nonostante gli abusi gestuali e pantomimici, presenta una funzionalità narrativa. Molto eleganti i costumi.

La compagnia di canto regge, nel complesso, all'ardua prova. Emerge il formidabile Arlecchino del basso-baritono Alex Esposito, vero "deus ex machina" della vicenda. Anne-Lise Sollied, Rosaura, canta con gusto mozartiano, mentre Elena Rossi, Marionette, è una suobrette versatile, ma dalla vocalità piuttosto tagliente. Il garbato primo tenore Mark Milhofer, nel ruolo del Conte, manca di espansione cantabile (non dimentichiamo che la sua celebre romanza del second'atto è memore dell'enfasi pucciniana). Brillantissimo il secondo tenore Emanuele D'Aguanno, monsieur Le Bleau. Di nitido rilievo i due bassi Maurizio Muraro e Riccardo Zanellato, rispettivamente il Milord inglese e lo spagnolo Don Alvaro.Il direttore Karl Martin sottolinea opportunamente il carattere novecentesco della partitura: non ci sono abbandoni patetici, ma un disegno a punta secca e strutturalmente ben delineato. L'orchestra lo segue con asciutta precisione. Coro diretto da Emanuela Di Pietro.

Teatro esaurito, successo entusiastico, come si deve ad un'opera che evoca le maschere del Carnevale.

Mario Messinis

 

il veneziaLunedì 12 febbraio 2007

Venezia. Un pubblico in maschera ha accolto con favore l'opera che si inserisce tra le iniziative del Carnevale
Lunghi applausi per La Vedova Scaltra
l'omaggio della Fenice a Carlo Goldoni

Una mattina di gennaio del 1929, alle 7.30, scendevo a Milano dal treno su cui ero salito a Roma la sera prima…Non stavo più nella pelle. Quella mattina Wolf-Ferrari mi avrebbe atteso all'albergo Agnello alle 10.30". Fu così che nacque la

collaborazione tra il musicista veneziano e Mario Ghisalberti, che avrebbe scritto il libretto per La vedova scaltra, tratto da Carlo Goldoni, opera andata in scena sabato sera alla la Fenice e in replica fino al 20 febbraio. Tra le molte manifestazioni del carnevale veneziano, questa è sicuramente tra le più riuscite e prestigiose. A lungo applaudita da un pubblico, in parte in maschera con costumi d'epoca, l'opera, assente dalle scene veneziane dal 1976, s'inserisce tra le manifestazioni per il tricentenario della nascita di Goldoni.

A dirigere l'orchestra e il coro della Fenice il maestro Karl Martin, ottimo interprete del '700 viennese e specialista del repertorio del '900 storico. Le scene, la regia e i costumi del veneziano Massimo Gasparon hanno saputo restituire l'atmosfera dell'epoca. La vicenda si svolge, infatti, nella città lagunare nel '700. Protagonista una scaltra e giovane Rosaura, interpretata dalla brava soprano Ann-Lise Sollied, contesa da ben quattro pretendenti il Milord Runebif (il basso Maurizio Muraro), Monsieur Le Bleau (il tenore Emanuele D'Aguanno), Don Alvaro di Castiglia (il baritono Riccardo Zanellato) e infine l'unico vero e fedele tra tutti, l'amato conte di Bosco Nero (il tenore Mark Milhofer). Tra prove, inganni e travestimenti, la furba Rosuara saprà capire chi tra loro davvero l'ama. Questo lavoro è già il secondo di un autore poco conosciuto come Ermanno Wolf-Ferrari presentato dalla Fenice che la scorsa stagione mise in scena I quattro rusteghi, opera tratta ancora una volta da Goldoni.

PA. PAR.

 

Il giornale della musica
12 febbraio 2007

Maschera ed Eros nella Vedova scaltra di Wolf Ferrari

Con la "La vedova scaltra", manifesto programmatico della riforma goldoniana, Ermanno Wolf-Ferrari si riaccosta al mondo teatrale del commediografo veneziano, inventando un linguaggio compositivo frutto dell'innesto tra ricerche timbriche novecentesche e suggestioni drammaturgiche d'ipirazione mozartiana. Il tema è lo sguardo disincantato sui meccanismi che governano il gioco delle relazioni umane: l'attrazione è frutto non di natura ma di cultura ed educazione. L'arte scaltra di Rosaura (una Ann-Liese Sollied dalla vocalità suadente e piena di goldoniana classe e garbo) consiste nell'abilità di svelare freudianamente l'inganno a cui soggiace l'eros dei suoi quattro pretendenti (nonchè il proprio). Attraverso la maschera, infatti, che consente di porsi kantianamente dalla parte dell'altro, emerge l'intendimento nascosto dei vari personaggi, ognuno dei quali fortemente caratterizzato dalla cultura del paese di provenienza: fatuo il francese (reso con narcisismo da Emanuele D'Aguanno), geloso l'italiano (un appassionato Mark Milhofer), galante e opportunista il Milord inglese (l'elegante Maurizio Muraro), orgoglioso e supponente lo spagnolo (interpretato con accese tinte da Riccardo Zanellato). I fili dell'intreccio, governato da Rosaura e adornato dalla piacevolezza di Marionette (la vitalissima Elena Rossi) sono ricamati da un altro burattinaio d'eccezione, l'Arlecchino di Alex Esposito, mago del travestimento e dell'autoironia. Emblema di una venezianità fuori dal tempo, ben sottolineata dalle scenografie e dai costumi cromaticamente sognanti di Massimo Gasparon, Arlecchino incarna la voce segreta di Goldoni-Wolf Ferrari. Con finezza Karl Martin valorizza la levità briosa della partitura, sottolinenandone le amabili intenzioni caricaturali e l'agile scioltezza drammaturgica. Caldo successo.

Letizia Michielon

 

Der Neue Merker
13.02.2007

Venezia Teatro La Fenice
Ermanno Wolf Ferrari La vedova scaltra

Vor 300 Jahren wurde Carlo Goldoni geboren. Zahlreiche seiner Stücke wurden vertont, u. a. entstanden fünf Opern von Ermanno Wolf-Ferrari /1876-1948). So lag es nahe ein Werk des in Venedig geborenen und gestorbenen Komponisten zu wählen. Vom Vater her war er ein halber Bayer und von der Mutter ein halber Venezianer, so beeinflussten ihn das Erbe und die Eigenheiten beider Regionen. Einst viel gespielt, wurde es in den letzten Jahrzehnten immer stiller um ihn, einzig, als vor mehreren Jahren Domingo und Carreras seine Künstlertragödie „Sly" für sich entdeckten und mehreren Ortes aufführten, wurde die Erinnerung an diesen Tonkünstler wieder kurzzeitig aufgefrischt. Das Vergessen seiner Opern ist ziemlich unverständlich, sie sind überaus wirksam und dankbar, sowohl handlungsmäßig als auch musikalisch.

Inhalt der Oper: Die junge, reiche Witwe Rosaura hat vier Verehrer, den Engländer Milord Runebif, den Franzosen Monsieur Le Bleau, den Spanier Don Alvarez di Castiglia und den Italiener Conte di Bosco Nero, welche sich um ihre Gunst und Hand bemühen. Sie stellt die Liebhaber unerkannt zur Probe, die nur der Conte besteht. Durch die Szene wirbelt noch die Zofe Marionette und der alles und alle durcheinander bringende Arlecchino. Zum guten Ende erhält der Conte die Rosaura und Arlecchino die Zofe.

Regie und Ausstattung sind von Massimo Gasparon, der ein munteres Spiel der Ausgelassenheit und des Innehaltens zu Stande bringt. Die Szene ist vom venezianischen Barock inspiriert und schön anzusehen (das gibt es in Italien noch!). Spontanen Beifall erhält ein Bühnenbild, welches vor nachtblauem Hintergrund samt Mond, das Denkmal des Dichters Goldoni, das auf dem Platz vor der Rialto-Brücke steht, zeigt. Die Kostüme sind zuerst aus der Zeit nach 1900 als sich besonders die Damenmode stark veränderte, bald aber sind die Standespersonen in Rokokokostüme eingekleidet.

Eine glückliche Hand für diese Art der Musik (sie ist in der Nachfolge des Falstaff", im Orchester sind Einflüsse der Impressionisten zu hören, es gibt Walzer wie von Lehar, alles im neoklassizistischen Gewand, aber im deutlich erkennbaren Personalstil), für das bereitwillige folgende Orchester, den Chor und für die Sänger hatte Karl Martin. Einen schönen Beitrag leistete das Ballettensemble. Dadurch entstand im Haus eine gute Atmosphäre und Wohlgestimmtheit des Publikums.

Der Komponist setzt vor allem auf Ensembles, angefangen von Duetten bis zu großen Szenen mit vielen Personen und dem Chor, es gibt nur wenige größere Soli. Anne-Lise Sollied als umworbene Rosaura hat einen vollen, blühenden Sopran, der bereits auf schwerere Partien hinweist. Sie hat ein großes, schön gesungenes Solo. Der auch in Wien bekannte Maurizio Muraro sang den steifen Lord in guter Weise. Einen leichten, lyrischen Ton, mit Wärme und Farbe und großer Geläufigkeit, samt schöner Höhe bietet Emanuele D’Aguanno als Monsieur, eine erfreuliche Begegnung. Den spanischen Granden singt Riccardo Zanellato mit Nachdruck.

Die schönste und interessanteste Stimme, nach dem Eindruck des Rezensenten, hatte jedoch Mark Milhofer als Conte. Sie hat eine schöne Rundung und Höhe, die richtige Portion Wärme und Farbe im Timbre, einen leichten lyrischen Ansatz und gleichsam eine Träne im Auge, in einer sehr schönen und gelungenen Arie. Er könnte eine bemerkenswerte Entwicklung vor sich haben. Man wird sehen. Die umtriebige Zofe Marionette Elena Rossi hat ein ausgezeichnetes Piano. Zu oft sang sie aber sehr laut, was ihr eine deutliche Schärfe gibt. Der alles immer wieder verwirrende Arlecchino Alex Esposito schließlich erwarb sich die große Gunst der Zuseher durch sein Spiel, aber auch durch seine Stimme.

Beim Publikum fand die Aufführung eine ganz deutliche Zustimmung und Begeisterung und nochmals stellt man sich die Frage, warum Operndirektoren, Dirigenten, Sänger und Regisseure sich die dankbaren und wirkungsvollen Opern des Ermanno Wolf-Ferrari entgehen lassen.

Martin Robert BOTZ