IL GAZZETTINO
7 novembre 2007

Al Teatro Fenice, a cinque anni dal debutto
Il ritorno di Thaïs

Venezia. Ritorna dopo 5 anni alla Fenice "Thaïs" di Massenet. Lo spettacolo, quasi immutato, è quello del Malibran. Come sempre ammirevoli le scene di Pier Luigi Pizzi: volumetriche, lineari, architettoniche nel primato; visionarie nel secondo, con un grande tendaggio rosso e un letto di spine che riprendono le immagini floreali delle fanciulle-fiori del "Parsifal" ideate da Pizzi nel 1983 per la Fenice. Nel terz'atto colpisce la suggestiva moltiplicazione spaziale di croci bianche accatastate, una forte idea visiva che allude ai tormenti della redenzione mistica. È la personale e affascinante inventiva di Pizzi che coniuga l'astrattismo geometrico con l'evidenza del gesto melodrammatico. Non convincono, invece la fascinazione nivea di un erotismo raggelato e le coreografie cameristiche di Jancu, che contaminano i riferimenti "déco" della scenografia con una appariscente sinuosità. L'intermezzo del second'atto non è sipario chiuso, ma esibisce una sensuale danzatrice che si arrampica su una croce con una illustrativa simbiosi tra amor sacro e amor profano. Letizia Giuliani è bravissima, ma l'esito visivo è oleografico. D'altronde la celebre e ripetitiva "Meditazione" visualizzata da questa esibizione coreografica è tra le pagine più decorative dell'opera, quasi si trattasse di un testo per violino e orchestra di Sarasate: nella bella partitura affiorano talora le tentazioni del kitsch.

Peraltro l'opera conferma altrove le avanzate opzioni linguistiche di Massenet, il sinfonismo e il declamato del "Parsifal", così presenti nell'opera, si alleggeriscono e sembrano anticipare Debussy; le scelte vocali verranno successivamente accolte dai veristi e dal Puccini di "Madama Butterfly". La singolare sensibilità e mobilità melodica e un'orchestrazione sapiente rivelano la maestria di un maestro. Tuttavia "Thaïs " opera musicalissima e seducente, presenta un limite: la riduzione melodrammatica - pur realizzata da un librettista colto come il Gallet - ripensa l'intreccio esteriore dell'omonimo romanzo di Anatole France cui si ispira ma non gli aspetti ironici, intellettuali, crudeli, mistificatori, e in fondo semplifica teatralmente il dissidio tra vocazione mistica ed empito carnale.

Le conseguenze riguardano soprattutto la figura di Atanaele, il monaco che vuole redimere Thaïs , ma che resta coinvolto nei lacci della passione. Questa figura cade a tratti nella convenzionalità naturalista rendendo troppo esplicita la drammaturgia. Invece Thaïs la sacerdotessa votata a Venere, redenta da Atanaele e predestinata ad una morte beatificante, è uno dei grandi personaggi di Massenet e del secondo Ottocento francese.

Darina Taskova è una grande cantante - si ricorda la sua penetrante versione verdiana di "Luisa Miller" - ma le sottigliezze francesi e l'ampiezza dei registri di Thaïs non le sono sempre consentanee. Il baritono Simone Alberghini incarna con convincente vigore la figura di Natanaele. Elena Rossi coglie gli aerei virtuosismi della "charmeuse" (un ricordo della "Lakmé" di Delibes). Nicolai Curial, come Polemon, e intenso nel quadro monacale dell'esordio, in cui figura una bella citazione dell'"Ultima cena" di Leonardo. Appropriati il tenore Andreyev e tutti i ruoli di fianco.

Era stato Marcello Viotti, il direttore musicale della Fenice scomparso tre anni fa a proporre questo quasi sconosciuto in Italia Massenet. Ne aveva offerto una versione crepuscolare, dalle levigate flessibilità, specchio del decadentismo europeo. Con l'eccellente Emmanuel Villaume la prospettiva muta. Il direttore francese mira alla organicità strutturale e a sfuggire ai tentacoli del fine secolo. Credo siano due interpretazioni altrettanto attendibili. Marcello Viotti, maestro amatissimo sempre vivo nel ricordo, credeva nelle delizie di un fraseggio sfumato, Villaume invece nella energia di una dizione sontuosa: sono le stesse alternative di Massenet tra languori estetizzanti e grandiosi disegni drammatici. Orchestra galvanizzata e precisa, Coro inappuntabile sotto la direzione di Emanuela Di Pietro. Caldo successo.

Mario Messinis

 

CORRIERE DELLA SERA
1 novembre 2007

Le Variazioni del Peccato

Una delle più delicate, variate ma anche ardite vicende narrate in musica da Jules Massenet è la Thaïs, 1894 ma versione corrente 1898. È quella di un monaco della Tebaide egiziana nel IV secolo dopo Cristo. Costui, ancor giovane, vive nella più austera penitenza ma, tornato da Alessandria, vien preso da zelo furioso al pensiero che una cortigiana d' invincibile bellezza, Taide, si esibisca nel Circo, offra verso prezzo le sue notti, faccia delirare un' intera capitale e, sacerdotessa di Venere in atto se non in forma, faccia trionfare il culto della dea e di Eros su quello del Cristo. Lubriche visioni notturne accrescono il suo tormento. Concepisce così l' idea che Dio gli abbia confidato la missione di strappare la donna al secolo per offrirla a Lui e torna nella "città maledetta". La musica di Massenet, nella melodia del pungente dolore di Atanaele, fa comprendere come dietro lo zelo già dal primo istante agisca un inconfessabile desiderio. Atanaele si reca ad Alessandria da un amico di adolescenza, Nicia, per apprendere come possa avvicinare la bella: e capita nell' ultimo giorno di una settimana da lei a Nicia concessa, per la quale costui ha volentieri speso le sue ricchezze. È costretto a farsi lavare e abbigliare da convito e quando Taide giunge innanzi a tutti, che ne ridono, illustra il suo proposito. Si reca allora a casa di lei manifestandosi e approfitta dei primi timori della donna d' invecchiare e perdere la sua bellezza, di un senso di sazietà per la sua vita. Così l' abbandona a una notte di meditazione, sintetizzata nel celebre Interludio orchestrale con violino solista e conosciuto appunto col nome corrente di Méditation réligieuse: tutti lo riconoscono perché s'esegue come pezzo pseudo-sacro ai matrimoni in chiesa. Il giorno dopo Taide è pronta per seguire Atanaele verso un monastero femminile. La traversata del deserto, a piedi, scalza, quasi la uccide. Rinchiusa costei, Atanaele è ancor più ossessionato di prima dalla bellezza della donna. E mentre trascorre i suoi giorni con un pensiero fisso, ode che ella è in fin di vita. Si reca da lei morente e redenta e le dice che nulla esiste fuor dell' amore carnale, che vuol possederla. Ella spira da santa, egli resta maledetto: ma non prima di aver riversato una cascata di melodia sensuale su quella casta morte.

La storia, tra i primi casi di libretto in prosa lirica dovuto a Louis Gallet, è tratta da un impagabile romanzo di Anatole France. Questo era stato pubblicato a puntate nel 1889 sotto il titolo di Paphnuce (l' originale nome di Atanaele secondo le fonti leggendarie sacre) e l' anno successivo in volume sotto quello di Thaïs. Ma quanto a titolo il primo è più probante, essendo Taide solo "un coeur simple" e il monaco il vero protagonista. La sua vicenda, che rievoca, col lezzo ferino della persona, il pauperismo e l' "odium humani generis" (quindi anche odium sui) del cristianesimo primitivo, si riveste di geniali episodi prima e dopo il viaggio ad Alessandria. Per quanto inevitabilmente omessi questi nell'Opera, non cambia il fatto che essa (caso non unico in Massenet) abbia a protagonista un baritono: il tenore è Nicia al quale è affidata una melodia quasi operettistica nel leggerissimo Quartettino della vestizione di Atanaele. Cori religiosi, danze esotiche, l'ossessione di un "piccolo Venusberg personale" si alternano a definire un ruolo che vuol essere d'un uomo giovane e bellissimo, un ruolo pieno di fa e di idee d'effetto.

Se pensiamo all'epoca di quest'Opera che rinuncia a tutta la satira anticlericale intellettualistica ma non a manifestare in bellezza musicale la torbida coscienza di Atanaele, dobbiamo rilevarne di nuovo l' audacia: osserva infatti lo stesso Anatole France che ai suoi tempi, all'opposto che nel Settecento, il popolo non crede più a nulla, aristocrazia e alta borghesia sono impregnate di compunzione religiosa: nel caso Dreyfus Atanaele sarebbe stato in prima fila a condannare l' innocente ufficiale. Ma aristocrazia e alta borghesia sono le destinatarie della Thaïs di Massenet.

Sul podio della Fenice il maestro Emmanuel Villaume, uno dei migliori massenetiani per la capacità di seguire lo stretto sviluppo drammatico e di dare una lettura insieme brillante e piena d'aria della partitura, con quegli esitazioni e incalzare ritmici propri del Maestro e così anticipatori del flou di Debussy. Simone Alberghini è un audace Atanaele provvisto anche della prestanza fisica per il ruolo; Darina Takova una delicata Taide molto apprezzata in Dis-moi que je suis belle e nella celestiale morte. Tra i comprimari si lodano in particolare le due schiave Christine Buffle e Elodie Méchain, il monaco Palemone di Nicolas Courjal ed Elena Rossi, "la charmeuse".

L' allestimento dovuto a Pier Luigi Pizzi, spoglio tranne il quadro finale, si fa apprezzare per la sua eleganza e per le coreografie in silhouette, il tutto, nei quadri plastici, memore delle pitture di Alma Thadema.

Paolo Isotta