IL GAZZETTINO
martedì 12 agosto 2008

PESARO
Le roventi passioni di "Ermione" e l'ambiguo belcantismo di Rossini

NOSTRO INVIATO

Pesaro. Periodicamente si riaffaccia il problema del rapporto di Rossini con il Romanticismo. Di fatto il grande musicista, nel suo frastagliato, enigmatico ed avvincente itinerario, rimane sempre idealmente un classicista, ma gli strumenti linguistici sono fortemente progressivi e prefigurano il futuro melodramma franco - italiano, da Bellini a Donizetti, a Verdi, e la lunga storia dell'opera parigina ottocentesca. Per il Rossini Opera Festival c'è stata una preapertura, al teatro Rossini, con una memorabile crestomazia di brani sinfonico-vocali, tratti dalla "Donna del lago" e dal "Guglielmo Tell". Il titolo della serata è emblematico: "Presagi romantici", a testimonianza di una temperie rinnovata che si affaccia nel mondo del teatro nel fatale decennio tra il 1820 e il 1830. C'è il massimo cantante rossiniano del nostro tempo, Juan Diego Florez, che sembra evocare il suono angelico di Giovanni Battista Rubini, tenore molto amato da Rossini. Con questa interpretazione ci rendiamo conto come il cantabile del Pesarese presenti tenerezze e levità che sfiorano l'appello patetico, mentre le vertigini di impervie colorature virtuosistiche esaltino la settecentesca retorica degli affetti con una astrale trasfigurazione.

Anche "Ermione", il monumentale capolavoro rappresentato l'altra sera alla Adriatic-Arena, ripropone il rapporto tra antico e moderno. È tra i rari lavori di Rossini, il belcantista assoluto, in cui si colga una relazione con Gluck-Salieri e con Spontini, i padri di una drammaturgia che sembrerebbe estranea al suo pensiero. È un formidabile bassorilievo neo classico, percorso però da bagliori espressivi, ove affiorano impressionanti prefigurazioni di "Norma" - che sarebbe apparsa sulle scene un decennio dopo (l'"Ermione" è stata scritta per il S. Carlo di Napoli nel 1820). Rossini approfondisce la sua idea sfingea e ambigua della vocalità. Molte pagine suonano perfino come il Verdi più arroventato e demoniaco, ma ancora i vistosi ornamenti barocchi rimangono di fatto antiromantici, determinando una sorta di straniamento rispetto al fulgore delle passioni: quasi un paradossale duplice piano drammatico miracolosamente complementare. Vi si racconta, sulla scorta di Racine, la tragica storia dell'amore non ricambiato di Ermione per Pirro, re dell'Epiro, innamorato invece di Andromaca, la prigioniera troiana, disposta a cedergli pur di salvare il figlio Astianatte. C'è anche una passione non corrisposta di Oreste per Ermione che, in preda alla gelosia, lo induce a uccidere Pirro. Grandeggia il personaggio di Ermione (quasi un incrocio tra Norma e Abigaille) nelle impeccabili, vertiginose iperboli del contralto di agilità Sonia Ganassi. La struggente dolcezza di Andromaca vive nel limpido canto di Marianna Pizzolato. Pirro, il deuteragonista, è un baritenore realizzato con scavata intensità declamatoria (ma con qualche smagliatura vocale) da Gregory Kunde; Antonio Siragusa emerge con sicurezza nei registri acuti della figura di Oreste. Roberto Abbado non crede al romanticismo di "Ermione", di cui delinea con autorevolezza, il marmoreo neoclassicismo sottolineando per esempio, della magnifica sinfonia con coro iniziale il drammatismo beethoveniano. Quanto dire che le tensioni del discorso nascono felicemente all'interno di geometriche idee formali.

Lontano dalla aulicità neoclassica è invece la regia di Daniele Abbado, che mira ad attualizzare il racconto nel segno di una scabra tragicità. Le belle scene astratte di Graziano Gregory che utilizzano le risorse tecniche del nuovo palcoscenico dell'Arena, sono costituite da poderosi blocchi monocromi che si aprono su petrosi sotterranei. Pannelli rotanti sono utilizzati in senso teatrale. La regia funziona là dove punta sulla stilizzazione e sulla sobria nitidezza della recitazione, ma colora di sinistra effetti espressionisti i due finali d'atto: estranei alla nostalgia grecizzante di Rossini.Quindici minuti di applausi per gli interpreti, per l'orchestra del Comunale di Bologna e per il Coro hanno segnato questa riabilitazione di un testo raro che speriamo sia definitiva.

Mario Messinis

 

il manifesto
12 agosto 2008

Al Rof di Pesaro, la rara opera di Rossini
Quando Ermione si affacciò dal limbo

Giampiero Cane
PESARO

È la prima volta che il festival operistico dedicato a Rossini non si apre con uno spettacolo d'opera, ma con un concerto. Ovviamente, è stato un concerto di canto, affidato alla voce di Juan Diego Flórez, per il quale da mesi i posti del teatro erano stati esauriti. Questo sabato scorso. Poi, la sera dopo, il ritorno alla routine, con una tripletta di opere che, nella rapida successione delle prime, caratterizzano la rassegna: quest'anno Ermione, all'Adriatic Arena, decentrata, L'equivoco stravagante nel teatro Rossini e, di nuovo all'Arena, Maometto II. La seconda di queste è una ripresa dello spettacolo prodotto nel 2002; le altre due opere, anche se già sono state eseguite all'interno della programmazione del Rof sono allestite ex novo.

Ermione, caso unico nella produzione di Gioacchino Rossini, fu messo in catalessi dal pubblico di Napoli nel 1819, quando fu presentato al San Carlo, e fino al 1977 nessuno si sognò di riportare sulle scene quest'opera che nei 31 che si separano dalla rianimazione ch'ebbe luogo a Siena è tornata sulle scene, qua e là altre 19 volte, contando anche quest'ultima messinscena pesarese. Qui torna a 21 anni da un primo allestimento che fu tumultuoso, soprattutto per i "capricci creativi" di Montserrat Caballé, in una edizione molto più tranquilla, destinata diremmo a non lasciare gran memoria di sé.

È un'opera strana Ermione, un bislacco soggetto da Racine cui in larga parte il librettista rossiniano, Andrea Tottola, si attiene piuttosto fedelmente. Vi agiscono figure greche e troiane in un tempo di poco successivo alla caduta della città dell'Asia Minore. I troiani sono prigionieri in Epiro del figlio di Achille, Pirro, tra essi Andromaca, vedova di Ettore, col figlio Astianatte.

Dal valore simbolico e dal potenziale revanscismo che potrebbe coagularsi sulla sua esistenza, quindi sulla possibile minaccia costituita dal suo sopravvivere, assieme alla rottura degli equilibri sentimentali nella corte d'Epiro causati dalla presenza di Andromaca, da ciò nascono i conflitti a prevalente tematica sentimentale, ma in conseguenza dell'identità dei personaggi anche "politici" di un'opera musicalmente ricca e affascinante, ma concepita in una maniera inconsueta per l'epoca, cui si deve probabilmente l'insuccesso e la lunga stagione nel limbo.

In Ermione quasi non abbiamo pagine da isolare concertisticamente, arie da ricordare a sé, ma forme ampie che fanno entrare e uscire personaggi, anche il coro magari, senza isolare un qualche pezzo d'effetto. E dentro queste scene complesse si ascolta una musica che richiama alla memoria qualcosa che avverrà ad opera di musicisti che saranno attivi quando Rossini avrà concluso l'arco della sua creazione per il teatro. Questo Rossini, frammenti del cui Ermione si ascoltano in altre opere successive, entra nelle musiche di Donizetti, nella Norma di Bellini, nel Nabucco di Verdi, ma allunga il proprio riflesso fin nelle musiche di Berlioz. Ma tutto ciò non può essere considerato un effetto prodotto da un testo che non ha circolato affatto, bensì come frutto di una lezione che qui avrebbe avuto il suo esempio più esplicito, ma che in maniera meno spiccata è presente in altri testi del musicista, nell'Assedio di Corinto, per esempio, o nel Mosè senza dover pensare al Guglielmo Tell, l'opera con cui Rossini chiuse la produzione teatrale, scavalcando già nel 1829 il romanticismo per precipitarlo il quel genere pompier cui quasi parrebbe destinarsi.

L'attuale messinscena di Ermione si avvale di una compagnia di canto di notevole qualità, anche se non ripete presenze d'assoluto divismo come quelle che il Rof seppe raccogliere del 1987. Domina la scena l'Ermione di Sonia Ganassi, ottimo soprano cui manca però la dote di far capire le parole del suo canto. È tutta vocalica, le consonanti non le dice; non si capisce nulla e vien voglia di poter seguire il testo proiettato in un riquadro, come ormai avviene, soprattutto quando il testo è in lingua straniera. Per il resto la voce è bella, l'inflessione sentimentale chiara, il gesto scenico misurato. L'altro personaggio femminile è Marianna Pizzolato, bella voce, più chiara, ma non d'altrettanta qualità. Delle voci maschili, se qualche incertezza s'è avvertita nel canto di Kunde, Pirro, ciò non è accaduto con gli squilli tenorili di Oreste, l'ottimo Antonino Siragusa.

La direzione musicale di Roberto Abbado è sembrata debole, insipida nel corso del primo atto dell'opera, mentre s'è fatta marcatamente drammatica nel secondo, il conclusivo.

Lo spettacolo è piuttosto modesto, scolastico, non nasce da un'idea matura, ma come semplice illustrazione dell'accadere. È pedissequo il Daniele Abbado che lo firma, mentre forse ci vorrebbe un po' di sogno, un'immagine meno realistica è più mentale per accompagnare l'algida neoclassicità del pensiero rossiniano. Chiude con un colpo granguignolesco che proprio non ci sta.

 

il Giornale
n. 191 del 12-08-2008
pagina 33

ALL’OPERA FESTIVAL
In "Ermione" il Rossini più tragico La regia delude la platea di Pesaro

Paolo Scotti
da Pesaro

Rossini tragico. E non è una contraddizione in termini: il genio comico del Barbiere di Siviglia, geniale anche in cupe vicende di passione e sangue? Per dimostrarlo a Pesaro è nato 30 anni fa il Rossini Opera Festival; per convincersene basta tornare oggi ad ammirare Ermione: tragedia tratta da Racine, che nel 1819 fece fiasco appunto perché catapultava Rossini tra i tenebrosi amori e le tragiche fatalità di Andromaca, Pirro ed Oreste. Ma che da domenica, nella ripresa della prestigiosa rassegna pesarese, conferma una volta di più: Rossini non fu genio comico o serio. Fu genio tout court.

Un cast eccellente, in cui spiccano due primedonne quali Sonia Ganassi - vera dominatrice della serata - e Marianna Pizzolato - comprimaria di gran lusso - accanto a due tenori-star, l’uno ormai consegnato alla storia della renaissance rossiniana - Gregory Kunde -, l’altro già oltre la soglia di una promettente gloria - Antonino Siragusa - hanno decretato il trionfo di una musica in cui temi eroici, accenti disperati e tragicità impetuosa sono stati serviti dall’appassionata bacchetta di Roberto Abbado. E se la perizia acrobatica di Kunde sembra un po’ in affanno, il tono squillante e la dizione chiarissima di Siragusa hanno conquistato il pubblico; mentre la passione della Ganassi ha trionfato nella perigliosa e ardua grande scena del secondo atto.

Purtroppo, al notevole livello musicale dello spettacolo, non ha corrisposto quello teatrale. Per dimostrare la modernità, meglio l’atemporalità di Rossini, non basta trasferirlo in un bunker cementizio stile garage sotterraneo (nella risaputa scena di Graziano Gregori) o far indossare ai cantanti i soliti cappottoni militari assieme a fantasie "espressionistiche" di gusto stridente e immotivato (nei brutti costumi di Carla Teti); bisognerebbe che ci fosse anche un regista, capace di dare un senso allo scombinato bric-à-brac che ne consegue, e soprattutto di guidare i cantanti a una convincente recitazione. Mentre la regia di Daniele Abbado (cugino del direttore d’orchestra) è impersonale, statica e ha punte di sgradevolezza evitabili (i maltrattamenti al piccolo Astianatte) e sembra lasciare gli interpreti soli con loro stessi. Così solo la Ganassi - e solo in virtù di forza propria - riesce a raggiungere ammirevoli risultati d’intensità tragica.

Per fortuna del regista, agli applausi conclusivi il pubblico è troppo occupato a festeggiare cantanti e direttore, per insistere nei fischi che l’hanno accolto subito dopo il finale-choc: il povero Kunde sgozzato e appeso alla parete come un capretto pasquale in macelleria.

 

IL GIORNALE DI VICENZA
Martedì 12 Agosto 2008

ROSSINI OPERA FESTIVAL
OTTIMA CONDUZIONE DI ROBERTO ABBADO, MENO SICURA LA REGIA DI DANIELE ABBADO

"Ermione", il capolavoro dal destino controverso

Cesare Galla
Pesaro

Fra le opere rossiniane rimaste più a lungo "silenti" - numerose specialmente nell'ambito serio - "Ermione" rappresenta il caso più singolare di radicale divergenza fra il giudizio del repertorio e quello degli storici, che in qualche caso oggi addirittura la collocano fra i maggiori capolavori melodrammatici dell'intero Ottocento. Esempio straordinario di come il compositore potesse "maneggiare" il genere tragico (qui desunto dall'"Andromaca" di Racine) con una tensione drammatica tale da generare in molti momenti lo scardinamento delle strutture formali tradizionali, quest'opera cadde infatti senza remissione al suo debutto napoletano nel 1819 e subito scomparve dalle scene. Dovevano trascorrere più di 150 anni prima che se ne riscoprissero le tracce, sia pure con una esecuzione in forma di concerto (1977); quasi 170 per un'edizione scenica, naturalmente realizzata al Rossini Opera Festival (1987).

Da allora l'opera ha avuto un suo corso non sporadico specialmente nei paesi anglosassoni, ma in Italia l'edizione al debutto ieri sera al Rof ha colmato un'assenza di 17 anni. E del resto, per Pesaro questa è solo la seconda edizione. Prova evidente del fatto che la vita del "capolavoro incompreso" resta difficile, che "Ermione" per molti aspetti viene percepita ancora oggi come un lavoro anomalo.

Del resto, qui siamo ben oltre il genere serio di origine metastasiana: domina un senso del tragico che dalle radici mitologiche greche, attraverso la rilettura raciniana, sposta i termini dei conflitti fra i personaggi su un piano di esacerbato individualismo sentimentale, mettendo a fuoco uno sconvolgente scontro di psicologie febbrili, alterate e mutevoli, intorno alla spietata logica dell'amore non corrisposto.

Ermione è dilaniata fra volontà di vendetta e vagheggiamento del perdono nei confronti di Pirro invaghito di Andromaca; finisce così per spingere al delitto Oreste, che la ama a sua volta senza essere riamato, in un percorso di sbalorditiva "verità" psicologica e in quanto tale straordinariamente moderno. Il tutto è esaltato da una drammaturgia musicale libera fino al punto di risultare a volte frammentaria come un "flusso di coscienza"; da una scrittura vocale nella quale le astrazioni del belcanto per una volta sono scolpite in fremente forza espressiva; da una tavolozza orchestrale corrusca, fitta di sfumature pre-romantiche; da una sintassi armonica di efficacia rivelatrice.

Per il suo debutto al Rof, il direttore Roberto Abbado ha proposto dell'opera una lettura densa, trascinante, plasticamente espressiva fino a sottolineare le "assonanze" mozartiane e perfino beethoveniane della partitura sul "pedale" del tragico. Interpretazione tesa e incisiva, dai colori scuri, forse bisognosa di qualche rifinitura nelle aperture liriche ma certo coinvolgente e stilisticamente convincente.
Protagonista era Sonia Ganassi, raffinata specialista rossiniana che ha proposto di Ermione un'interpretazione di interiorizzata disperazione, sempre sorvegliando con eleganza la linea del canto, ma offrendo un'evidenza di palpabile tragicità ai conflitti interiori del personaggio. Al suo fianco, il Pirro declamatorio e stentoreo di Gregory Kunde, timbro e tenuta peraltro piuttosto usurati; l'Oreste febbrile di Antonino Siragusa, voce chiara e svettante di bella agilità specie nel primo atto; l'Andromaca altera e sofferta di Marianna Pizzolato, bel timbro scuro di contralto rossiniano Doc. Fra gli altri, da segnalare il compreso Fenicio di Nicola Ulivieri (unica voce grave maschile della distribuzione), il teso Pilade di Ferdinand von Bothmer.

Sulla scenografia di Graziano Gregori, claustrofobica e carceraria (ma il tema della tragedia non è la prigionia dei troiani), con pareti e pannelli continuamente e talvolta fastidiosamente in movimento, Daniele Abbado - a completare la sigla "di famiglia" dello spettacolo - ha firmato una regia statica, di poche idee e nessuna dinamica interiore, con un immaginario tendente all'espressionista nelle scene di massa (maschere deformi per il musicalmente impreciso coro da camera di Praga) e un finale in grand-guignol che vira in grottesco il purissimo tragico rossiniano.

Accoglienze molto cordiali, non entusiastiche; qualche dissenso per il regista.

All'Adriatic Arena
repliche il 13, 16, 19 e 21 agosto

 

L'Avvenire
12 agosto 2008

Rossini trionfa, ma i cugini Abbado dividono la platea

DA PESARO
VIRGILIO CELLETTI

Rossini ha vinto ancora, accolto come un campione olimpico (lui e la sua Ermione) in quel clima da palasport che si respira all’Arena Adriatica nei giorni del festival pesarese. Applausi lunghi e convinti per una musica tanto più seducente quanto più irta di situazioni proibitive. Il bello di Ermione si identifica proprio con il difficile: e vide giusto Rossini quando incassò senza far drammi il clamoroso insuccesso dell’opera che debuttò al Teatro San Carlo, per rientrare subito in un buio durato più di un secolo e mezzo. Ci vorranno almeno cento anni – aveva previsto lui – perché venga apprezzata. E per comprenderne – si potrebbe aggiungere – il linguaggio innovativo e ancora oggi straordinariamente moderno. L’applauso dell’altra sera e i volti estasiati degli spettatori durante le fasi cruciali dell’opera e alla fine attestano quanto tutto ciò fosse vero.

Ermione ha aperto la XXIX edizione del Rossini Opera Festival, ventiquattr’ore dopo un prologo concertistico dedicato alla nascita del tenore romantico. Una figura che prende forma più di quanto non si creda proprio in Rossini, come Alberto Zedda (sul podio dell’Orquestra de Comunitat Valenciana) ha dimostrato con una lunghissima selezione da La donna del lago e con brani del Guglielmo Tell. Grande protagonista della serata Juan Diego Florez, tenore cult del momento, che alla fine ha incassato dieci minuti di ovazioni, anche perché i pesaresi lo considerano ormai un concittadino a tutti gli effetti.

Dicevamo che Ermione è come destinata alle lunghe attese. Oltre a quella profetizzata dal suo autore, c’è l’altra che separa le due edizioni pesaresi. La prima è del 1987 (appena preceduta da altre due, a Siena e a Padova, ma entrambe in forma di concerto); poi sono trascorsi ancora più di vent’anni, un ritardo imposto dalla difficoltà di trovare interpreti adeguati. Successo pieno dunque: sia di questo Rossini, sia del modo di eseguirlo che ha ampiamente risposto alle attese, soprattutto per quanto riguarda la componente musicale e vocale.

L’allestimento era affidato ai due cugini Roberto e Daniele Abbado. Il primo, direttore, è stato giustamente osannato dal pubblico per come ha tenuto insieme la grande performance vocale dei protagonisti con l’eccellente Orchestra del Comunale di Bologna. La partitura è esaltata proprio dal contrasto tra voci e strumenti: incandescenti le prime, con acrobazie canore quasi parossistiche, mentre l’orchestra cercava sempre la musicalità e persino la dolcezza, quasi ad accentuare per contrasto la violenza dei sentimenti disegnata dalle voci. Notevoli tutti i cantanti, a cominciare da Sonia Ganassi, un’Ermione piena di temperamento, fino all’Andromaca di Marianna Pizzolato, vibrante e drammatica, e all’Oreste dello svettante e infallibile Antonino Siragusa. Il protagonista maschile (Pirro) era Gregory Kunde, che ha comprensibilmente perso l’antico smalto ma ha risolto ancora con bravura i gravosi impegni del ruolo.

L’altro Abbado, Daniele, era il regista e il pubblico gli ha riservato qualche contestazione finale, forse condannando la scarsa chiarezza dell’ambientazione. Invece dei personaggi consacrati dalla storia e dalla mitologia (siamo nel dopoguerra di Troia) ci troviamo di fronte a gente in uniformi militari del nostro tempo. Se di Grecia si tratta, forse è quella dei Colonnelli. Né giova molto la scenografia di Graziano Gregori, fatta di pareti girevoli e di botole che vanno su e giù. Dall’inizio alla fine.

la prima
Rivive dopo lungo oblio
la impervia e intensa "Ermione"
con Sonia Ganassi
grande interprete

 

LA STAMPA
13 agosto 2008

OPERA
Pesaro, trionfa ''Ermione'' il Rossini che non t'aspetti

PAOLO GALLARATI

Pesaro. Chi non conosce Ermione, che ha inaugurato il Festival di Pesaro, non può avere un'immagine completa di Rossini. Il cultore del "bello ideale" rivela qui un altro volto. Ermione, rappresentata a Napoli nel 1819, fu un tonfo clamoroso e si capisce perche': nel rappresentare la lacerazione interiore della protagonista, delusa nell'amore e accesa d'odio per la rivale Andromaca, Rossini aveva sconcertato gli ascoltatori del tempo. Mentre nel primo atto ricorre abbondantemente a uno stile-formulario che gli permetteva di regolare entro argini sicuri il contrasto degli affetti, nel secondo si abbandona a un vero e proprio espressionismo: poca melodia e molta declamazione, sostenuta da un'orchestra incandescente (recitativo "Che feci? Ove son?"); numeri musicali allargati in molte sezioni spezzate da singhiozzi, sospiri e pause (Gran scena di Ermione "Essa corre al trionfo"); forme libere per un bisogno febbrile di far dialogare i personaggi, sospingendoli in girandole ritmiche che hanno qualcosa di angosciosamente deterministico (duetto Oreste-Ermione); cabalette furenti e provocatorie, asimmetrie, disegni aspri e contorti, mostrano un Rossini sperimentale, quasi violento, e sorprendentemente in anticipo nella ricerca di una vera immedesimazione drammatica che, dopo il primo atto, esclude quasi totalmente l'evasione ludica.

Con vero gusto per l'avventura proposta da questa partitura, Roberto Abbado ha diretto Ermione in modo eccellente a capo dell'Orchestra del Comunale di Bologna: tutto era ben rilevato nel gioco delle frasi, dei ritmi e dei colori , anche in quella bizzarra Sinfonia attraversata, per la prima e unica volta in Rossini, dalle esclamazioni di un coro interno, irruzione anomala di un elemento umano nell'astrazione del puro discorso strumentale.

La compagnia radunata dal Rossini Opera Festival ha permesso di godere la partitura in tutta la sua complessità: Sonia Ganassi canta benissimo e, se solo curasse di piu' la dizione, troppo sovente incomprensibile, la sua Ermione raggiungerebbe un'incisività rara; bene l'Andromaca di Marianna Pizzolato, madre dolente e vedova eroicamente fedele alla memoria del marito Ettore; Antonino Siragusa e' molto piaciuto come Oreste: incide i gorgheggi con timbro tagliente e pronuncia perfetta, il che conferisce alla sua voce una penetrazione speciale; Gregory Kunde è parso, come sempre, un esecutore molto responsabile nella parte difficilissima di Pirro che lo mette qualche volta in imbarazzo.

La regia di Daniele Abbado, con le scene di Graziano Gregori e i costumi senza tempo di Carla Teti, segue con puntuale aderenza la vicenda: la scena e' nuda, di legno chiaro, le luci di Guido Levi le danno movimento e intonazione psicologica. I due finali d'atto sono un po' sgradevoli; il bimbo Astianatte e' troppo strapazzato nel primo, e la figura di Pirro, crocifisso e sanguinante nel secondo, e' un cedimento imbarazzante al gusto del truculento. Ma, nel complesso, lo spettacolo funziona, il dialogo gestuale è sciolto e il fuoco che percorre la parte di Ermione può, attraverso il canto e la persona della Ganassi, ben guidata dal regista, divampare a dovere. Così, la serata si è conclusa con molti applausi, anche se ad alcuni lo spettacolo non è piaciuto, e lo hanno fatto sonoramente capire.

Adriatic Arena, fino al 21 agosto ****

 

CORRIERE DELLA SERA
12 agosto 2008

Rossini Opera Festival
I due Abbado seducono Pesaro con "Ermione"

PESARO - Rossini espressionista? È un' iperbole, naturalmente. Ma non v' è dubbio che Ermione, il titolo inaugurale del Rossini Opera Festival di Pesaro sia, non che pagina molto sui generis del catalogo serio dell' autore, lavoro tra i più moderni dell' epoca, volto a una direzione che si sarebbe rivelata oltre il Romanticismo. Solo 11 i numeri musicali, in nessuno dei quali le sezioni strofiche, con la tipica cantabilità geometrica del pesarese, abbiano il sopravvento sulla ragnatela di scene, recitativi e inserti dialogici che della partitura costituisce il cuore. In più, ecco una vocalità il cui belcantismo è tutto finalizzato a un senso del tragico mai così ossessivo nelle opere del sommo: se non è belcanto come espressione d' isteria, poco ci manca. Di qui le scarse comprensione e fortuna di Ermione.

Di qui però anche l'alto interesse per la nuova messinscena pesarese, la prima che si approntasse in Italia da oltre 15 anni (a Pesaro, Napoli e Roma i soli precedenti). Produzione importante, di livello. In primis, per la qualità rilevante della concertazione di Roberto Abbado a capo dell' orchestra del Comunale di Bologna. È bravissimo, Abbado. Mai una scelta dei tempi che non sia logica in relazione ai contenuti musicali, mai un colore che sia troppo o troppo poco, mai i cantanti a disagio senza che ciò significhi lavorare a loro servizio. È persino troppo bravo. Se manca una cosa è il guizzo, quel momento di sana follia che rende il tutto meno esatto ma con più senso della prospettiva. Tecnica, controllo, personalità da interprete di razza, in ogni caso.

Il pizzico di follia lo mette il cugino Daniele Abbado, però. Cura la messinscena disegnando un impianto scenico austero, rigoroso: un sopra e un sotto con gli epiri dominatori in tenute militari anni Venti-Trenta ed eleganti pepli e i dominati frigi come straccioni senza età. Recitazione austera a sua volta, niente melodramma e molta astrazione, spesso le mani immobili lungo i fianchi. Nei due finali, v'è però una processione di maschere, di esseri fauneschi, di un'umanità sgangherata che fa molto Berlino anni Venti (ecco l'iperbole espressionista). Molti dubbi, ma ci sta. Lo spettacolo è invero inattaccabile.

Cast importante. Sonia Ganassi è un po' rigida sulla scena e uniforme nella vocalità, ma i passi impervi della parte d'Ermione li supera con facilità. Bene Marianna Pizzolato (Andromaca) e il redivivo Gregory Kunde (Pirro), pur con fatica nel finale. Eccellente inoltre il contributo di Antonino Siragusa (Oreste) e Nicola Ulivieri, pur sacrificato nella parte di Fenicio. Molto fragile invece il Pilade di Ferdinand von Bothmer. Adriatic Arena al completo. Applausi per tutti.

Ieri L' equivoco stravagante, stasera Maometto II.

Enrico Girardi

 

IL MESSAGGERO
Martedì 12 Agosto 2008

L'Ermione di Rossini

di ALFREDO GASPONI

PESARO - Partito in quinta sabato con un gran concerto del supertenore Juan Diego Florez, l'altra sera all'Adriatic Arena il Rossini Opera Festival si è confrontato con se stesso. E' tornata Ermione dopo la turbolenta edizione del 1987, applaudita ma anche contestata come esecuzione musicale nonostante due mostri sacri come la Caballé e la Horne. Stavolta invece tutto bene per cantanti e direttore - ovazioni per la protagonista Sonia Ganassi e per il tenore Antonino Siragusa - mentre alla parte visiva sono andati applausi e dissensi. In complesso sembra comunque di poter dire che l'Ermione 2008 abbia vinto sulla precedente. A ulteriore dimostrazione che al Rof non si vive di soli divi.

E ha vinto ancora la musica di Ermione, che si è confermata tra le opere più vitali del Rossini "napoletano". Il libretto di Tottola, tratto dalla tragedia Andromaque di Racine, si riferisce a fatti successivi alla presa di Troia. Pirro, re dell'Epiro, ama la prigioniera troiana Andromaca, vedova di Ettore, e vorrebbe sposarla nonostante la promessa di matrimonio fatta ad Ermione, figlia di Menelao. Andromaca rifiuta, ma poi deve cedere per salvare il figlioletto Astianatte che i greci temono possa diventare un vendicatore dei troiani. Esplode la furia di Ermione che spinge un altro mitico greco, Oreste, innamoratosi di lei, a uccidere Pirro. Poi si pente, ma è tardi. Ermione è annientata dal dolore.

Libretto di qualità non eccelsa ma c'è la musica, percorsa da fioriture tanto vertiginose quanto finalizzate all'espressione e fitta di quelle invenzioni rossiniane "assolute" che s'inseriscono a meraviglia in un contesto sia comico sia drammatico: come, nel finale del prim'atto, una travolgente successione cromatica di accordi simile alla conclusione del sestetto del Viaggio a Reims. E un impianto formale inedito per l'epoca. Il "numero chiuso" rossiniano quasi rinnega se stesso: è attenuato il distacco tra arie e recitativi, il coro invade i pezzi solistici e perfino la sinfonia; il culmine è la "gran scena" di Ermione che occupa quasi tutto i second'atto, sorta di opera nell'opera perché mette insieme diversi registri espressivi un un blocco monumentale, organismo dalle tante sfaccettature che rende Ermione un personaggio moderno, una Lady Macbeth verdiana o una Elettra straussiana ante litteram.

Però la vena tragica di Rossini conserva sempre una purezza neoclassica. Invece Daniele Abbado (coadiuvato da Graziano Gregori scenografo e Carla Teti costumista), collocando l'azione in un'epoca indefinibile, che poteva eventualmente far pensare, trattandosi di vicende elleniche, alla Grecia dei colonnelli, ha dato alla sua regia tratti di violenza espressionista difficilmente conciliabili con tale purezza: prigioni come tombe, personaggi grotteschi nella corte di Pirro (teste di lupo, volti biaccati), il piccolo Astianatte sballottato oltre misura e un finale perfino granguignolesco, in cui appare il cadavere sanguinante di Pirro appeso come a un gancio da macelleria.

Più convincente, sul podio dell'orchestra del Comunale di Bologna e del Coro da camera di Praga, il cugino Roberto Abbado, la cui bacchetta ha assicurato recitativi ben scolpiti, arie pulsanti di vita, bei crescendo e concertati di lucido intreccio. Qualche discordanza ritmica tra palcoscenico e orchestra sparirà nelle repliche. Vocalmente preziosa e di forte temperamento l'Ermione di Sonia Ganassi: la sua interpretazione prende nonostante la dizione sia quasi sempre enigmatica. Gregory Kunde e Siragusa, Pirro e Oreste, vanno all'assalto con coraggio delle loro "impossibili", siderali parti tenorili ed entrambi superano la prova, anche se Kunde dà qualche segno di stanchezza nelle colorature e forza un po' negli acuti mentre Siragusa è controllato ed elegante. Le arcate omogenee e intense di Marianna Pizzolato danno un bello spessore ad Andromaca; chi più chi meno, bene gli altri: Ferdinand von Bothmer, Nicola Ulivieri, Irina Samoylova, Cristina Faus, Riccardo Botta. Pubblico internazionale con giapponesi in grande quantità. Si replica fino a martedì 19.

 

La Repubblica
14 agosto 2008

Nel tempio del melò pubblico in delirio per i cugini Abbado

NATALIA ASPESI

Pesaro. Le vacanze all' opera, con lunghe mattinate in spiaggia e schiene scottate a teatro, dilagano ormai ovunque, con manifestazioni sempre più chic e raffinate ("radical chic", in molti temono) e la più importante e internazionale delle manifestazioni dedicate al melodramma, il Rossini Opera Festival, arrivato alla sua 29° trionfale edizione, ha sfidato il suo fedelissimo pubblico con la decisione ardita del sovraintendente Gianfranco Mariotti e del direttore artistico Alberto Zedda, di proporre insieme tre famosi insuccessi rossiniani, subito ai loro tempi ritirati dalle scene e in parte dimenticati. E c'era infatti molta dotta aspettativa tra le folle melomani che si avventurano ogni estate in 15 giorni fitti di opere e concerti, per un Ermione tragicissima e quasi sconosciuta, per un Maometto II, che sconfigge i veneziani e abbatte la croce in tempi di leghismo antislamico, per la sorprendente vena "trasgender" del quasi ignoto "dramma giocoso" L'equivoco stravagante. E infatti: stordito per meraviglia e sonnolenza ("due palle!", a detta di un grande critico) l'inclito pubblico 2008 di Ermione, che data al San Carlo di Napoli il 27 marzo 1819, (Rossini aveva 27 anni ed era già celebre) secondo le gazzette di allora "fallì completamente". Ma adesso spettatori in delirio per la maestria del direttore d'orchestra Roberto Abbado, phisique du role perfetto, compreso il ciuffo di capelli d'argento che veleggia ad ogni slancio creativo, più pensierosi sulla regia del cugino Daniele Abbado, forse causa il piano inclinato del palcoscenico su cui si temeva che un eccesso di stivali provocasse cedimenti, appassionati per la famosa Sonia Ganassi che furibonda e scarmigliata Ermione, incita l'innamorato Antonino Siragusa, Oreste, a uccidere il disamorato Gregory Kunde, Pirro, a sua volta innamorato di Andromaca, e purtroppo funestato da un mantellone rosso sopra una divisa da vigile del fuoco e da una corona ridicola.

Entusiasti ma composti per non sembrare troppo frivoli ("Pare il Bagaglino!" secondo una rigorosa musicologa) per L'equivoco stravagante, opera di un Rossini diciannovenne, che andò in scena il 26 ottobre 1811 a Bologna, piacque al pubblico gaudente, ma fu proibita dalla prefettura dopo solo tre rappresentazioni per eccesso di doppi sensi e oscenità. Direttore Umberto Benedetti Michelangeli, regia dello spagnolo Emilio Sagi, che con un testo giudicato in passato indecente e scellerato, poteva inventarsi qualsiasi nequizia senza offendere Rossini. Ai tempi del compositore e del bistrattato librettista Gasparri non esistevano i transessuali, ma i castrati sì, e infatti il famoso Velluti avrebbe poi gorgheggiato nel rossiniano Aureliano in Palmira. Ispirandosi alle fiction americane tipo Ugly Betty e Dirty Sexy Money, dove tra i protagonisti c'è una transessuale bionda e fatalona, il regista ha scelto per la sua Ernestina accusata, appunto, di essere un maschio castrato, il mezzosoprano, ovviamente russo, Marina Prudenskaja, una specie di alta top model bionda dalle gambe perfette e perfetta in tute di pailettes rosse o nere: cui arditamente, distesa su un rosso divano stile Philipe Starck, le si fa interrompere il canto per una fellatio, praticata sul giovane e bravo tenore Dmitry Korchak e riflessa in un grande specchio.

Delirio con battere di piedi fracassone per la qui beniamina Daniela Barcellona, robusto mezzosoprano in ruoli quasi sempre maschili, che imbustata nella corazza del generale Galbo contende a Maometto II (il basso Michele Pertusi, aitante e sexy, meglio con turbante nascondi-calvizie) la mano di Anna, la giovane, bella e brava lettone Marina Rebeka: che giustamente sceglie la morte piuttosto che il generale, dopo aver rinunciato per amor di Venezia alla passione per il sultano. Direttore d' orchestra, l'ampio Gustav Kuhn, regista Michael Hampe, che rifiutando la messa in scena ultramoderna, ha dato al "dramma per musica", andato in scena a Napoli nel dicembre 1820, un ambientazione e una gestualità romantica, un Quattrocento alla Fornaretto di Venezia, visto dal cinema anni Trenta.

Il Rossini Opera Festival si è inaugurato quest' anno con uno di quei colpi di genio che causano deliri, innamoramenti, svenimenti ambosessi, cioè con il concerto di Juan Diego Flores, il Johnny Depp dei tenori, di fosca e colta bellezza peruviana, che in frack e mano sul cuore melodiava per la moltitudine dei suoi fan tradizionali, giapponesi, scandinavi, e nuovi, russi e lettoni, "Di qual delizie mi inebria l'amor!" ma anche "Sa flamme répond a ma flamme, Dut-elle nous perdre tous deux!".

Gli italiani, non più del 30% del pubblico, molto interessati, oltre che allo splendore della musica rossiniana, anche agli immensi buffet allestiti dopo lo spettacolo, offerti dalle doviziose famiglie pesaresi, nei giardini di Silvana Ratti, nell' antico palazzo Almerici-Prosperi-Cesaroni, in uno dei sei alberghi dei nobili Marcucci Pinoli di Valfesina, e soprattutto nel parco di Paola e Rolando Tittarelli, con padrona di casa che, vestita Armani o Chanel, sta ai fornelli per cucinare personalmente cene sontuose a cui accorrono cantanti, direttori d' orchestra, registi, sovraintendenti di teatri italiani e stranieri, sostenitori e amici del Festival, l' aristocrazia cittadina della cultura e del denaro. E dei mobili da cucina.

 

Il giornale della musica
16 agosto 2008

LA VENDETTA DI ERMIONE

Ermione fu nel 1819 il più grande smacco di Rossini e nel 1987 uno degli spettacoli meno felici del Rof: quest’edizione vendica quegli insuccessi.

Quest’ "azione tragica" è certamente splendida ma ancora oggi piuttosto ostica, non per la sua presunta rinuncia agli aspetti più consueti e accattivanti dello stile rossiniano a favore d'un severo tono tragico, ma perché i due diversi aspetti convivono e si alternano senza realmente fondersi. L’ascoltatore è costretto a una specie di continuo zapping tra il Rossini a lui noto e il Rossini sperimentale e inizialmente dimostra di essere più affezionato al primo, applaudendo soprattutto i fuochi d’artificio virtuosistici, come l’aria di Oreste, strepitosamente cantata da Antonino Siragusa. Ma alla fine è l’altro Rossini a vincere, facendosi sentire con sempre maggiore convinzione e vigore, fino alla straordinaria doppia grande scena della protagonista, che nella sua furente drammaticità supera d’un balzo ogni schema formale e stilistico, passando e ripassando liberamente dal canto melodico al declamato, con una tensione che inchioda l’ascoltatore, ipnotizzato anche dall’interpretazione infuocata e travolgente d’una Sonia Ganassi veramente superba. Bene anche gli altri protagonisti: Gregory Kunde si fa apprezzare al di là di un certo affaticamento vocale e Marianna Pizzolato è un’Andromaca ideale. Far convivere e conciliare i due diversi stili messi qui in campo da Rossini è compito soprattutto di Roberto Abbado, precisissimo nei ritmi vivaci, nei colori brillanti e nei dosatissimi crescendo del primo Rossini e assolutamente straordinario nel cogliere le novità del secondo. Suo cugino Daniele Abbado realizza una spettacolo apparentemente semplice, perfino statico, ma incisivo nel lumeggiare la psiche contorta dell’isterico Pirro, le atmosfere da incubo della sua corte trasportata agli anni intorno al 1940, la progressiva crescita del tragico furore di Ermione.

Mauro Mariani

 

FINANCIAL TIMES
August 12 2008

Pesaro, Rossini Opera Festival
Ermione
By Shirley Apthorp

This year’s first disinterment at the Rossini Opera Festival is the composer’s 1819 Ermione, which flopped at its Naples première and has languished in comparative neglect ever since. Historians consider it one of the composer’s most startling masterpieces and, on Sunday night, it was easy to see why.

Ermione, based on Racine’s account of the tragic Andromaque, investigates the fatal love triangle between Achilles’ son, Pyrrhus; Menelaus’s daughter, Hermione; and Hector’s widow, the Trojan Andromache. Rossini attacked the subject with gusto, using the clean techniques of French opera and was thoroughly misunderstood by his contemporary public for his pains. Today, distance allows us to appreciate the stormy drama and tense, taut architecture of this thriller.

Daniele Abbado’s production hardly qualifies as cutting-edge director’s theatre but Graziano Gregorio’s spare set of stark walls and revolving panels and Carla Teti’s vaguely updated costumes help him to tell the story with admirable clarity and several strong images. On the podium, his cousin, Roberto Abbado, draws sounds of breathtaking precision and gossamer delicacy from the Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. He also knew when to let the thunder loose, how to steer every potential derailment calmly back on track and how to shape the grander architecture.

Of a top-drawer cast, Sonia Ganassi’s Ermione was the most remarkable performance, unfolding in the course of the evening from annoyed to devastatingly dramatic, showing us real and engaging character development, full-bodied yet agile. Antonino Siragusa, her manipulated Oreste, won a lion’s share of applause for his plangent and heroic tenor acrobatics. Rightly so – the sound is clean and even, his stamina impressive – though some of his ornaments (he has a tendency to sidle up to the top of a phrase in the suavely delayed style of a matinee idol) were decidedly tasteless.

As Pirro, with a more masculine but less-polished style, Gregory Kunde had a hard time keeping up while Marianna Pizzolato‘s Andromaca managed to be moving without overwhelming. The rest of the cast was strong, the whole a discovery well worth making.

 

THE STAGE
Tuesday 19 August 2008

Ermione

by David Blewitt

Ermione (1819), a blazing masterpiece, flopped on its first night in Naples, and sank into obscurity. Why?

True, it contains no great ensembles, trios and quartets such as Neapolitan audiences had come to expect after Rossini’s previous five operas. Instead, the many solo scenes, arias and duets startlingly reflect the early evolution of Greek tragedy. Composer and librettist stick closely to their source, Racine’s Andromaque (1667). So, no happy ending either.

Nor are there legion opportunities for outpourings of ‘bel canto’. Instead Rossini has woven it into the fabric of a brilliantly designed musical tapestry projecting the full force of the tragedy. Ermione finds the composer writing at the height of his powers.

The festival production for the most part does him proud. Graziano Gregori’s classically conceived enclave with rising and falling levels sustains the score’s inexorable momentum, Guido Levi’s pale coloured washes of lighting mysteriously intensifying the fraught emotions of the principals.

Daniele Abbado directs his cast to avoid tearing a passion to tatters. When they do explode, the effect is distressing. Sonia Ganassi’s Ermione, sister to Medea, deploys an astonishing vocal armoury to searing effect. Her fury during the Act I finale is hair-raising.

Antonino Siragusa matches her note for note, his Orestes agonise and impassioned. Marianna Pizzolato, singing with warm, centred tone, suffers nobly as Andromaca, while Gregory Kunde creates a Pirro who is no mere tyrant. Vocally, he is sometimes stretched to the limits.

Roberto Abbado conducts a taut reading which fully realises the score’s remarkable formal structure.